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Bonaccini-Schlein, gara a chi insulta di più il Pd

 Schlein e Bonaccini

Elisa Calessi
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 Il giorno dopo la batosta delle elezioni regionali, la parola d’ordine – tra i due candidati alla segreteria che si sfideranno alle primarie – è: cambiare. Tutto e tutti. Segue la gara a chi ha meno rapporti con il gruppo dirigente che fin qui ha guidato il Pd, protagonista anche di quest’ultima sconfitta. «Sicuramente c’è da fare una svolta netta, bisogna cambiare... mica solo i volti, bisogna cambiare il metodo, la visione», dice Elly Schlein parlando su Radio 1. Quindi, prende le distanze dal patto di sindacato che ha retto il Pd negli ultimi dieci anni, di cui molti hanno deciso di sostenerla: «Io non ho fatto parte del gruppo dirigente del Pd, poi è vero che faccio politica anche io da diversi anni». Segue la replica di Stefano Bonaccini: Schelin dice che non ha fatto parte del gruppo dirigente? «Se non sei neanche iscritto al partito fai fatica a far parte di un gruppo dirigente». E anche il presidente dell’Emilia Romagna insiste sulla necessità di fare tabula rasa: «Abbiamo bisogno di una rigenerazione che porti il Pd ad essere utile al Paese», occorre aprire «una nuova fase, una nuova stagione. Questa classe dirigente va cambiata per un processo naturale. Veniamo da anni in cui si sta a lungo al governo e si cambiano ministeri con qualsiasi governo».

 

La vicinanza con i big, dopo due sconfitte (politiche e regionali), diventa un handicap. E così il sindaco di Firenze, Dario Nardella, sostenitore di Bonaccini, osserva che le zone «dove Schlein è andata bene», nei congressi dei circoli, sono quelle che, in passato, «hanno registrato un risultato rilevante a favore di Zingaretti e non è un caso che lui la sostenga, così come altre figure politiche come Orlando, Franceschini, Bettini». Attacca direttamente Enrico Letta, invece, Piefrancesco Maran, assessore del Comune di Milano: «Ci chiamiamo Partito Democratico ma poi nominiamo liste bloccate alle elezioni e cancelliamo primarie con un semiunanimismo di tutto il gruppo dirigente, pensando che i cittadini non se ne accorgano. Dopo gli esiti elettorali non si dimette mai nessuno, è una cosa pazzesca addirittura Letta ha rivendicato positivamente i risultati», mentre sono stati persi «70.000 voti» rispetto «alle comunali di un anno e mezzo fa».

La sequenza di sconfitte impone un taglio netto con il gruppo dirigente uscente. Il mood del day after elettorale è questo. «Il Pd si trova davanti a un bivio, non è tempo di una buona e ordinaria amministrazione», insiste Schlein. «Fotoritocchi non mi interessano. Bisogna scardinare le dinamiche che hanno fossilizzato il Pd. Bisogna decarbonizzare anche il Pd». Per dirla con Zingaretti, «forse ci voleva una sleppa» (così al Foglio). Sempre che basti la “sleppa”. Perché poi, alla fin fine, la vecchia guardia è ancora lì, nascosta, ma viva e ben sistemata dietro i candidati alla nuova segreteria.

 

 

Nel quadro negativo, l’unico motivo di consolazione è che il M5S e il Terzo Polo sono andati malissimo. Come dice Enrico Borghi, «il Pd esiste e resiste. Chi pensava di metterci in liquidazione ha sbagliato i suoi conti. Il voto conferma il ruolo insostituibile del Pd». La «caccia all’uomo contro il Pd», le proposte di «liquidazione» o «autoscioglimento», scatenate dopo le politiche, si sono rivelate fallimentari. Così come ha sbagliato bersaglio «l’azione politica congiunta di Conte e Renzi che puntavano alla disarticolazione tra voto degli elettori riformisti e quelli di sinistra nei 5 Stelle». Tentativo fallito. Resta da capire come riparti© RIPRODUZIONE RISERVATA re. E con chi.

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