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Elly Schlein odia i poveri: come si è smascherata la leader Pd

Sandro Iacometti
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Il campo largo, con buona pace di Enrico Letta, esiste. E ha persino un programma comune. O meglio un punto: rendere i poveri ancora più poveri. Uno scherzo? Purtroppo no. C’era chi, un po’ di anni fa e con tanto sale nella zucca, parlava di conseguenze inintenzionali. Avete presente la famosa mano invisibile che nelle società liberali o nell’alveare di Mandeville (se non lo avete ancora fatto andatevi subito a leggere la formidabile “Favola delle api”) trasforma i cattivi ed egoistici interessi privati in pubblici benefici? Ebbene, nel caso di Elly Schlein & soci (che ieri si sono radunati al congresso della Cgil) accade il contrario. Nobili ideali e altisonanti principi si trasformano in mazzate sul groppone delle classi più deboli.

 

 

 

Prendiamo le tasse. Il governo ha licenziato ieri una legge delega che, oltre alla semplificazione, alla razionalizzazione e al riordino delle imposte, ha come obiettivo principale quello della riduzione dei balzelli. Ecco, l’idea non piace né al Pd, né ai Cinquestelle e neppure alla Cgil. Il motivo? Può sembrare assurdo ma è questo: piuttosto che rischiare che qualche centesimo in più finisca in tasca a ceto medio e, sia mai, ai ricchi, meglio lasciare tutto com’è. Di qui l’opposizione pregiudiziale ad una riforma che in realtà deve ancora essere scritta. E che intervenendo sulla no tax area o sulle aliquote degli scaglioni di reddito più bassi potrebbe portare alle fasce deboli più soldi di quelli che ora arrivano attraverso sconti, sussidi e agevolazioni.

 

AGEVOLAZIONI

Già, le agevolazioni. Avete presente il superbonus, che dem e pentastellati stanno difendendo coi denti contro la spietata stretta imposta dal centrodestra? Ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio ha diffuso un paio di calcoli. Lasciamo stare il fatto che la spesa totale per i contribuenti ammonta a 110 miliardi di euro a fronte di circa 16 miliardi di valore aggiunte (Pil) nel biennio 2021-2022. Il dato più interessante è che solitamente la metà delle detrazioni edilizie finisce nel portafogli del 10% della popolazione più ricca. Questo tipo di agevolazioni, scrive l’authority, «beneficiano maggiormente i contribuenti con un patrimonio immobiliare e un alto reddito che, disponendo di liquidità e di capacità fiscale sufficiente, possono effettivamente scomputare le detrazioni dal debito di imposta». Il Superbonus si è rivelato un po’ meno regressivo, allungando i suoi effetti anche sul Mezzogiorno e sui Comuni a reddito più basso. Ma la sostanza non è cambiata di molto. Infatti persiste una «maggiore incidenza del ricorso alla misura nel Nord-Est del Paese» e l’Upb consiglia una «maggiore selettività dei beneficiari». Insomma, i ricchi si sono rifatti “gratuitamente” la villa a spese anche di chi non riesce ad arrivare alla fine del mese.

 

 

 

 

Ma il vero capolavoro del finto pauperismo è il salario minimo, misura di cui addirittura Elly Schlein e Giuseppe Conte si litigano la paternità. Certo, il lavoro povero esiste, gli imprenditori che sfruttano i dipendenti pure. Ma siamo proprio sicuri che fissare una paga base per legge sia la soluzione più efficace per gonfiare le retribuzioni dei lavoratori? Giorgia Meloni durante il question time di mercoledì alla Camera ha spiegato che «un parametro di questo tipo rischierebbe di creare per molti lavoratori condizioni peggiori di quelle che hanno oggi». Vabbè, direte voi, ma è la leader di Fdi, quella che vuole togliere ai poveri il reddito di cittadinanza, lasciare i profughi in balia delle guerre e tagliare le tasse ai ricchi. Obiezione accolta.

 

 

 


E allora vediamo cosa dice Luigi Sbarra, che di mestiere fa il sindacalista. «Un salario minimo legale», spiega il segretario della Cisl in un’intervista di qualche mese fa, «rischia di schiacciare in basso le retribuzioni di milioni di lavoratori perché molte aziende uscirebbero dalle tutele contrattuali attestandosi sulla soglia normativa. Sarebbe una pezza peggiore del buco». Ci risiamo. Sbarra è un sindacalista sì, ma non è un amico della Schlein. Meglio seguire la linea di Maurizio Landini e della sua Cgil. La stessa Cgil che qualche giorno fa si è rifiutata, per l’ennesima volta, di firmare il contratto aziendale di Stellantis. «Non garantisce i diritti come il Ccnl di settore», hanno spiegato i sindacalisti rossi. Però garantisce una bella copertura dall’inflazione, con aumenti dell’11% che si traducono in oltre 200 euro in più al mese in busta paga. Il solito trucco degli Agnelli? Forse. Però ai lavoratori è piaciuto. E tanto. Nel referendum aziendale l’accordo contestato dalla Fiom ha ottenuto il 98% di voti favorevoli. 

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