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Berlusconi, la rivelazione di Sgarbi: "Altro che ritiro, ecco il piano"

Vittorio Sgarbi

Francesco Specchia
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Fermo restando che il vecchio leone ci seppellirà tutti, la folla dell’Ospedale San Raffaele al capezzale di Silvio Berlusconi rivela oggi una palingenesi della società italiana. In questi giorni, la sua malattia sta avvolgendo la politica d’una dimensione di pietas che mai avresti detto. Vittorio Sgarbi è il primo a fotografarla.

 

 

 

Caro professor Sgarbi, non è la prima volta che Berlusconi si ricovera. Stavolta, certo, la faccenda è più grave. Ma com’è cambiata l’ottica del berlusconismo da quel letto d’ospedale?
«Berlusconi è stato per anni oggetto di odio e di vendetta da parte di certa stampa e di intellettuali raffinati che l’hanno trattato peggio di Stalin e Mao Tse Tung assieme.
Scalfari, Flores D’Arcais, D’Avanzo, Cordero, Rinaldi; per decenni hanno prodotto una vasta letteratura che, partendo da una crudeltà di giudizio, arrivava fino alla stragistica mafiosa. E hanno reso Silvio un mostro pubblico, ma nel contempo si è creato un bipolarismo che poi si è legittimato politicamente. Diciamo che l’arrivo di Silvio ha spezzato il consociativismo sino ad allora imperante; è stata un’attività politica di una grande utilità seppur preterintenzionale».

Lei ha parlato di una sensazione di onore delle armi da parte degli avversari. Cosa vuol dire?
«Sì, mi trovavo a parlare con amici di Repubblica che ammettono: il clima è cambiato. Come d’incanto sono spariti i processi per mafia, le Olgettine, i conflitti d’interesse. Oggi c’è la consapevolezza diffusa che Berlusconi, non tanto per la dimensione politica quanto per quella sportiva e di imprenditore, sia diventato, nel bene e nel male, un pezzo di patrimonio nazionale. È come se ogni italiano vedesse in lui un pezzo di sé, qualcosa di cui essere orgogliosi, arrivo a dirti. Il cittadino lo ama come si ama Mastroianni o Tarantino».

Cioè: arriva un momento, anche per Berlusconi, in cui l’affetto prevale sul giudizio politico?
«È evidente: oggi c’è, da parte di tutti, quasi un senso di rimpianto. In questo momento sono tutti intorno al suo letto: gli amici, le donne, i parenti, i figli ma è il letto di tutti gli italiani. Come se morisse un parente, un padre, un nonno. Nel caso di Andreotti, per dirti, non è stato così. Per Berlusconi, invece, è come se potesse morire il Papa».

 

 

 

Indipendentemente dalla sua guarigione, Carlo Calenda ha parlato della «fine della seconda Repubblica» per Forza Italia. È così?

«Qui siamo al punto di svolta. Solo dieci giorni fa Berlusconi mi diceva di volersi occupare di più di sé stesso, della sua salute, consapevole che a novant’anni sarebbe difficile ricandidarsi, pur proiettandosi verso le elezioni europee del 2024».

Vuol dire che Berlusconi mollerà la politica, come aspirano da anni i suoi figli?

«Bè, mi parlava di pensare ad una “Fondazione Forza Italia” da inserire dentro un grande nuovo Partito Repubblicano staccato da FdI e Lega. Una sorta di partito distintivo che arrivi fino a Calenda (che non può certo stare con la sinistra), acceso da Berlusconi nel ruolo di Grande Vecchio e ispiratore. Questo mi ha detto prima del ricovero, a maggior ragione ora...».

Le ricordo che c’è sempre mancato un pelino così, ma la rivoluzione liberale non s’è mai realizzata...

«Forse stavolta è quella buona. L’ultimo gesto politico di Silvio è stato d’avvicinamento a Giorgia Meloni: si è liberato della linea polemica e un po’ fanatica della gestione Ronzulli. E questa, in prospettiva, potrebbe essere una nuova area di riferimento del centrodestra fondata su quattro/cinque amici che gli sono cari, da Confalonieri a Letta, a me stesso in seconda battuta».

E sta bene. Ma Berlusconi è il pensiero che tutto crea. Nella nuova formazione, chi comanderebbe, scusi? Lei?

«Non ci vedo né Ronzulli né Tajani, onestamente. E non penso necessariamente a me, pure se credo di avere dei caratteri leaderistici che mi rendono pronto alla bisogna. L’ideale, in una situazione del genere, sarebbe fare delle vere Primarie del centrodestra. Se le fa il Pd non vedo perché non farlo noi».

E se- parliamo sempre per ipotesi fantascientifiche - ad un certo punto si facesse avanti qualcuno dei figli a raccoglierne il legato politico?

«Non credo, Berlusconi ha sempre vissuto con sofferenza la sua dimensione politica, ci si è messo con spirito di sacrificio e in nome dell’alternanza democratica. E per lo stesso motivo non credo proprio che i figli vogliano seguire le orme del padre. Certo, non si sa mai...».

 

 

 

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