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Silvio Berlusconi, tutte le grandi rivoluzioni di un leader innovativo

Francesco Carella
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 A Silvio Berlusconi vanno riconosciuti due grandi meriti: l’avere demistificato, svelandone il tratto autoritario, la cultura e la pratica della sinistra post-comunista e l’essere riuscito ad introdurre nel sistema politico italiano un’assoluta novità ovvero il bipolarismo. Si è trattato, in entrambi i casi, di una rivoluzione nei confronti della quale fin da subito si sono scatenate le ire scomposte dei poteri consolidati. Vale la pena di ricordare la distinzione che il filosofo inglese Michael Oakeshott opera fra “politica della fede e politica dello scetticismo”. La prima è incentrata sul convincimento che “l’attività di governo debba essere messa al servizio della perfezione dell’umanità” e che la politica appartenga ai “leader e ai salvatori del mondo”.

Chi fa politica, viceversa, sa che deve limitarsi a regolare i rapporti fra individui e tra soggetti sociali, per evitare che essi possano degenerare in conflitti deleteri per la società. La prima via conduce ai sistemi autoritari, mentre la seconda tenta di aprire le porte ai princìpi liberali. Ed è ciò che è accaduto nel marzo ’94 con la vittoria della coalizione di centrodestra. Non solo fu fermata “la gioiosa macchina da guerra” guidata da Achille Occhetto, ma venne sconfitta l’idea della “politica intesa come fede” e quale luogo frequentato da persone moralmente superiori rispetto agli altri protagonisti dell’arena pubblica.

 

 

Il bipolarismo ha rappresentato l’altro aspetto innovativo dell’azione politica di Berlusconi a fronte di una realtà (quella italiana) storicamente poco incline alla sostituzione di una classe politica attraverso mezzi pacifici. Del resto, se si ripercorre la storia politica dall’Unità fino ai primi anni ’90 non si può non constatare che nel nostro Paese nessuna classe di governo sia mai stata sostituita senza fare ricorso alla violenza. «Tutte e tre le forme di regime che l’Italia ha conosciuto, liberale, fascista e repubblicana - ricorda lo storico Massimo L. Salvadori in “Storia d'Italia e crisi di regime” - devono la loro origine ad una guerra civile che ha mescolato in diversa combinazione la lotta delle armi con quella dei valori, delle ideologie e degli interessi».

 

 

D’altronde, anche il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica è stato il risultato della stagione di Tangentopoli che come uno tsunami ha spazzato via un’intera classe dirigente, salvando solo quella legata alla tradizione comunista. Ma le particolarità non finiscono qui. Scrive lo storico Giovanni Sabbatucci in un saggio del 1990 - “La soluzione trasformista” che «a partire dal 1876, quando la Sinistra storica sostituisce la Destra alla guida dell’Italia senza alcun passaggio elettorale, la prassi del tutto antitetica allo spirito della democrazia liberale per cui forze politiche anziché andare al governo dopo aver vinto le elezioni vincono le elezioni dopo essere andati al governo, diventa una delle grandi anomalie del nostro sistema politico». Berlusconi essendo andato a Palazzo Chigi solo dopo avere ottenuto la maggioranza dei consensi elettorali (nel ’94, nel 2001 e nel 2008) e rifuggendo da qualsiasi tentazione “ortopedica” nei confronti della società civile ha introdotto nel nostro sistema politico due potenti fattori di modernizzazione che il Paese attendeva da oltre un secolo. 

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