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Pd, rivolta contro la Schlein: "Facciamoci sentire, non fuggiamo"

Elisa Calessi
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No all’Aventino in tema di riforme costituzionali. No al “silenzio -rassegnato” di fronte all’orientamento dell’attuale segretaria. Premesso che Elly Schlein ha tutto il “diritto” di «realizzare la piattaforma programmatica politico -culturale con cui ha vinto il congresso», i riformisti hanno «non solo il diritto, ma anche il dovere» di farsi sentire, cioè «di far vivere (e di far percepire all’esterno del partito) una visione, una cultura politica e una proposta programmatica distinta e, per molti aspetti, alternativa a quella di Schlein».

Con questo testo, leale e insieme tagliente, Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini, costituzionalista ed ex parlamentare il primo, ex viceministro ed ex parlamentare il secondo, ex parlamentare e fondatore dell’Ulivo il terzo, hanno rotto il silenzio su Repubblica, dando voce ai pensieri che fin qui erano confinati a conversazioni private. Un sasso che, come testimoniano le migliaia di visualizzazione sul sito di Repubblica e i riscontri ricevuti dai tre, ha colto nel segno. «Ho ricevuto tante telefonate da esponenti del Pd», racconta a Libero Morando, «non approviamo e non promuoviamo scissioni, ma sosteniamo che i riformisti debbano far sentire le loro ragioni».

 

 

LA PREMESSA - I tre, infatti, partono da una premessa importante: «La segretaria Schlein ha pieno diritto di tentare di realizzare la piattaforma politico-culturale e programmatica con cui ha vinto il congresso del Pd». Detto questo, «noi che abbiamo limpidamente avversato quella piattaforma, mettendo in evidenza il rischio di un regresso verso un antagonismo identitario incoerente con la natura stessa del Pd come partito a vocazione maggioritaria, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di far vivere (e di far percepire all'esterno del partito) una visione, una cultura politica e una proposta programmatica distinta».

Perché «la nostra cultura politica è essenziale per comporre quella ideologia democratica che nel nostro tempo sta sprigionando la sua straordinaria forza emancipatrice». Insomma, «rendere visibile ed efficace la presenza riformista nel Pd è soprattutto un dovere. Innanzitutto perché questa presenza è in grado di migliorare le performance del partito nella gestione dell’agenda politica».

Primo esempio: il dossier riforme costituzionali: «Quando Schlein sembra tentata dal rifugiarsi nell’Aventino, con il fallace argomento che non si tratterebbe di questione prioritaria nell’agenda del Paese, tocca a noi riformisti un’aperta contestazione di una scelta che- contraddicendo una delle architravi della piattaforma del Pd e, prima ancora, dell’Ulivo del 1996 - finirebbe per trasferire gratuitamente alla destra un patrimonio di riformismo istituzionale costitutivo dell’identità stessa del Partito Democratico».

 

 

Morando ricorda a Libero che già nel ’96 l’Ulivo era a favore di una indicazione del governo al momento del voto, che non è il premierato, ma non è nemmeno lasciare l’attuale forma di governo.

Quanto alle tasse e al taglio del cuneo fiscale, si mette in rilievo la «timidezza» con cui Schlein rivendica quanto fatto dai precedenti governo a cui ha partecipato il Pd. Allora «tocca a noi» ricordarlo. E spiegare che se i salari sono bassi, il problema è la «produttività del lavoro».

VIVA IL MERITO - Così come è un errore la demonizzazione del merito: «Senza valutare tutto e tutti il sistema scolastico non favorisce né la crescita economica, né il superamento della diseguaglianza delle opportunità». Si critica, poi, l’idea di considerare le riforme un «diversivo» e di considerare come prioritaria la «redistribuzione rispetto alla crescita (nella pretesa che quest’ultima segua la prima, come l’intendenza napoleonica)». Su questa via, osservano i tre, il Pd potrà recuperare qualche punto sul M5S, ma «non ridurrà la distanza da Meloni». La paura di non riuscire a modificare l’orientamento dell’attuale segretaria, concludono, con una chiara critica all’attuale minoranza dem, non può portare a un «silenzio rassegnato». Perché «c’è una larga parte dell’elettorato di centrosinistra che ha bisogno di un riferimento solido, e oggi», altra stoccata, «non lo trova». Serve, invece, una «battaglia delle idee all'interno del partito». Non sarà «breve», ma va fatta e subito. 

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