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Vittorio Feltri contro il Pd: ossessionati dalle dimissioni (di chi non ha colpe)

 Vittorio Feltri

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Da quando il governo Meloni si è insediato lo scorso ottobre a sinistra non si fa altro che chiedere le dimissioni di ministri e sottosegretari, urlando allo scandalo e strumentalizzando persino le parole.

In otto mesi sono state avanzate dimissioni di almeno sette esponenti dell’esecutivo. Soltanto una di queste istanze era fondata su motivazioni di tipo giudiziario, essendo intervenuta una sentenza di condanna, la quale ha indotto la sottosegretaria Augusta Montaruli, il febbraio scorso, a fare spontaneamente un passo indietro. Bizzarre e pretestuose sono state le richieste di dimissioni sollecitate al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e a quello delle Infrastrutture Matteo Salvini, accusati dai progressisti addirittura di “strage di Stato” per la tragedia di Cutro, lo scorso marzo, come se i migranti partiti dalla Turchia li avessero affogati loro.

Purtroppo la sinistra sfrutta persino i morti per tentare di erodere un esecutivo fortemente voluto dagli italiani sovrani. Ma andiamo avanti. Poco prima, ovvero a febbraio, era stato il turno del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara reo di avere dichiarato che in Italia non esiste alcuna deriva autoritaria e fascista. Del resto, non toccate il fascismo ai rossi, sarebbero capaci di divorarvi. Occorre dire loro che il fascismo esiste, giusto per tranquillizzarli, altrimenti perdono qualsiasi argomento politico sul quale imbastire le campagne elettorali. Non demoralizziamoli.

XENOFOBI E SESSISTI
Nel mese di aprile a finire nel bersaglio dei progressisti è stato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il quale aveva pronunciato, nell’esternare una osservazione inoppugnabile, due parole vietate, ossia “sostituzione etnica”. Apriti cielo! Qualche giorno fa, sempre a causa di vocaboli ritenuti “sessisti”, sono state chieste (anche se “chiedere” è verbo improprio in questo caso, troppo gentile) le dimissioni del sottosegretario di Stato al dicastero della Cultura Vittorio Sgarbi. Contestualmente, ogni dì, sono pretese le dimissioni del ministro del Turismo Daniela Santanchè, non perché condannata, neppure perché rinviata a giudizio, nemmeno perché ufficialmente indagata, dal momento che non ha ricevuto alcun avviso di garanzia. Secondo la sinistra, Santanchè dovrebbe dimettersi «per rispetto delle istituzioni». Una precisazione è doverosa: sono convinto che un rappresentante votato dal popolo non sia tenuto a ritirarsi perché sotto indagine e nemmeno qualora sia sotto processo.

 

Diverso sarebbe se ci fosse una condanna, magari di secondo grado, che impedisca ad un eletto di assolvere alle sue funzioni, come è accaduto al sindaco del Pd Giuseppe Falcomatà, primo cittadino di una splendida città che si affaccia sullo stretto, Reggio Calabria, i cui cittadini da due anni non hanno un sindaco e non sanno neanche. dove viva quello che hanno eletto. Qualcuno sostiene addirittura che Falcomatà, che ha vinto un concorso nel capoluogo lombardo, stia lavorando per il Comune di Milano, cioè, ricapitolando, il primo cittadino reggino lavorerebbe non per il suo Comune ma per un altro.

IL PRIMO CITTADINO DISPERSO
Ma perché Falcomatà è scomparso? L’esponente del Pd è stato condannato per abuso d’ufficio già nel novembre del 2021 e quindi è stato sospeso. Nel novembre del 2022 la condanna è stata confermata in appello. Il sindaco disperso di quella sinistra che ci fa la morale anziché rinunciare all’incarico consentendo in tal modo ai reggini, i quali vivono in uno stato di totale abbandono, di avere un sindaco che non hanno più, ha deciso di “restare al suo posto”, tenendo una intera comunità in ostaggio, non per qualche mese, non per un anno, bensì da quasi due anni. E il Pd muto. Anzi no, non muto ma impegnato a domandare le dimissioni di esponenti di centro-destra, colpevoli di nulla. Secondo noi, Falcomatà dovrebbe dimettersi non per rispetto delle istituzioni bensì dei cittadini.

 

Vada sé che la maniera dilettantesca e inefficace della sinistra di fare opposizione è indegna di un Paese democratico e civile in cui la dialettica politica tra chi governa e chi non governa dovrebbe essere incentrata su temi e proposte, non di certo scadere sull’attacco personalistico innescato e creato ad arte sulla base del nonnulla. Tuttavia, saremmo ben disposti ad accettare e accogliere le richieste scomposte che giungono da quel lato se soltanto provenissero da gente che fornisce pure il buon esempio a supporto delle proprie pretensioni. E non è questo il caso. Proprio no.

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