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Elkann? Dov'è la notizia, "Repubblica" odia da sempre il popolo

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Giovanni Sallusti
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Il dibattito sull'articolo sui "giovani lanzichenecchi" scritto da Alain Elkann su Repubblica. Clicca qui per leggere il commento di Andrea Morigi

La notizia è che ci stiamo occupando tutti da due giorni di una non-notizia, e questo pezzo chiaramente non fa eccezione: siamo dentro un cortocircuito dichiarato. Un cortocircuito che è anzitutto della meraviglia: sembra che, tenetevi forte, monsieur Alain Elkann, figlio per parte di padre di banchieri e per parte di madre di... banchieri, poi coniugato Agnelli, uno che intellettualmente si definisce allievo di Alberto Moravia (il quale non è più in condizione di benedire o disconoscere l’erede), bazzicatore indefesso dell’establishment di ambo le sponde dell’Atlantico, scrittore e opinionista presso il gruppo La Stampa-Repubblica editato dal figlio John, nel caso incontri un gruppo di virgulti pvoletavi (pronunciatela bene, quella “v”, pezzenti) sul Roma-Foggia non provi esattamente empatia per il loro eloquio, le loro movenze, il loro guardaroba, e magari, toh, indugi perfino in commenti classisti. Ma il problema è che il commento classista è stato pubblicato sulla suddetta Repubblica del suddetto figlio, berciano molti, anche a destra.
 

OTTUSI O IN MALAFEDE?
Perdonate, a costo di apparire ottuso, reitero l’obiezione: e allora? Pensavate per caso fino all’altro ieri che Repubblica fosse un organo popolare?
Come dite, si tratta pur sempre della testata di riferimento della sinistra? Perdonate, allora davvero gli ottusi siete voi. Se siete in buona fede, siete fermi a un’idea di sinistra da anni Cinquanta, Sessanta a essere generosi, diciamo precedente alla ricreazione del Sessantotto, quando i “figli di papà” pseudorivoluzionari inceneriti da Pasolini capovolsero le coordinate valoriali della gauche: lotta di classe sì, ma dei privilegiati in interni altoborghesi contro i poliziotti e in generale i popolani che non capiscono, poveracci di spirito quanto di portafoglio. Se siete in malafede, siete come i giornalisti di Repubblica, che si sono sollevati contro Elkann senior, colpevole di aver vergato senza complessi (perché se lo può permettere) quel che loro scrivono da lustri con mille accorgimenti lessicali: il popolo, sostanzialmente, fa schifo. Si esprime male, vota male (Berlusconi prima, Meloni-Salvini oggi), legge male nei pochi casi in cui legge, è talmente volgare da sudare anche quando acquista un biglietto di prima classe.

 


Oh certo, la povertà va contrastata, o meglio assistita: se i fascisti del nuovo millennio toccano il reddito di cittadinanza o non impongono un salario di Stato, si sfornano paginate in serie. Ma per carità non fategli vedere un povero in carne e ossa, se non come curiosità esotica la domenica pomeriggio, poi ognuno a casa sua. Tutta questa è una storia davvero antica, l’aveva narrata prima e meglio di tutti Tom Wolfe al debutto degli anni Settanta, quando coniò la categoria immortale di “Radical-Chic”. L’ultimo precipitato italico di questa commedia umana è la sinistra con l’armocromista, la sinistra tutta Vogue&transizione green di Elly Schlein. Se volete, uno spartiacque fondamentale della mutazione fu la “questione morale” messa al centro dell’agenda del Pci da Enrico Berlinguer non a caso in una famosa intervista al Fondatore, Eugenio Scalfari. Lì nacque l’equivoco sulla presunta “diversità” stilistica e antropologica dei comunisti e dei loro nipotini, che ci trasciniamo ancora oggi, lì venne inevitabilmente accantonata la “questione” originaria, quella operaia, oggi ormai un’entità aliena per i capobanda del Pd e per le relative bande giornalistiche. Per cui vi prego, torniamo ai fondamentali: scrivere che Repubblica utilizza toni classisti è come dire che il cane morde l’uomo. Non c’è nessuna notizia.

 

 

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