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Ernesto Galli della Loggia stronca la Schlein: "Cosa pensano molti nel Pd"

Annalisa CHirico
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«Giorgia Meloni è l’unica leader in campo. Lei è la donna che fa mentre gli altri parlano e basta», un Ernesto Galli della Loggia particolarmente tranchant risponde alle domande di Libero sulla traiettoria del premier, del governo, della destra. Lo storico, E. Galli del editorialista del Corriere, non si sottrae. «È colpa anche dei giornali che sollecitano il narcisismo di scialbe figure politiche. Renzi, Calenda, Provenzano, Orlando... che cosa propongono costoro, a parte schierarsi con Meloni o con Schlein?». lei la tocca piano. «Meloni è forte perché intorno ha il vuoto».

 

 



Il Pd a guida Elly Schlein? 
«Se l’obiettivo di un partito è vincere le elezioni, Schlein non fa vincere le elezioni. Penso che la mia opinione sia largamente condivisa all’interno dello stesso Pd. La segretaria incarna una linea puramente movimentista, sempre presente ai comizi al fianco della Cgil, sensibile alle rivendicazioni delle minoranze di ogni tipo. È una linea minoritaria che non tiene conto di un dato: l’Italia è un paese conservatore. Di questo passo una sinistra incapace di parlare alla maggioranza può vincere solo approfittando degli errori marchiani della destra, com’è capitato spesso in passato».
Il governo Meloni è accusato, a giorni alterni, di populismo perché ha deciso, per esempio, di tassare gli extramargini delle banche. Lei è d’accordo? 
«Non scherziamo. Negli ultimi anni le banche hanno ricevuto ingenti risorse dallo Stato per alleggerire le proprie esposizioni attraverso la finanza pubblica. Non si può essere liberali quando si viene tassati e statalisti quando si chiedono i soldi».

 

 

 


Tassisti e balneari: questa destra è corporativa? 
«In Italia sono tutti corporativi. Se non sbaglio neanche Mario Draghi è riuscito a risolvere la questione delle concessioni balneari né mi pare che il suo governo abbia aumentato le licenze dei tassisti. Neanche i governi con il Pd dentro, anzi faccio notare che il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, è un esponente del Pd e, se volesse, già domani potrebbe rilasciare tremila licenze in più. Perché non lo fa? Nessuno osa dare fastidio alle corporazioni».
Dopo dieci mesi di governo, quali sono pregi e difetti dell’operato di Meloni? 
«Il premier fa molto bene in politica estera, direi che si sta quasi rivelando il suo campo di elezione. Dicevano che con lei l’Italia sarebbe finita ai margini, invece Meloni è apprezzata a Washington, ha saputo crearsi una legittimazione come leader credibile e affidabile anche in Europa. Lo conferma il rapporto costruito con la presidente della Commissione Ue von der Leyen o con il presidente del Partito popolare europeo, Manfred Weber. Partecipa ai vertici internazionali con piena dignità, vedendo anche accolto il senso delle sue richieste come sui migranti. Più volte, con la sua azione, sconfessa di fatto alcune posizioni passate della sua stessa parte politica. Anche per questo è venuto per lei il momento, se ci riesce, di volare più alto».
In che senso? 
«Il premier deve indicare al Paese la novità storica che il suo ruolo attuale rappresenta, e mostrarsene consapevole indicando le mete. Per far questo non bastano le dichiarazioni più o meno estemporanee alla stampa. Serve una narrazione complessa che tenga insieme il passato e il futuro, e che sappia parlare agli italiani. Ci vogliono gli intellettuali».

 

 


 

 

Diranno che anche lei è corporativo perché rivendica un ruolo per la sua categoria... 
«Charles De Gaulle non sarebbe esistito come presidente della Repubblica senza le idee di André Malraux. Non bastano gli staff, servono anche persone e consiglieri con lo sguardo lungo. Le leadership degne di questo nome si costruiscono così: pensando in grande seppur parlando con la voce di ogni giorno. Se Meloni vuole incarnare una svolta, deve rappresentare la guida di una nazione e non di un partito. I veri leader sono quelli che uniscono, non che dividono. Ciò non significa perdere identità ma riuscire a essere un punto di riferimento anche per chi non ti ha votato. Significa adottare un timbro nuovo capace di disegnare una prospettiva in cui possano riconoscersi in molti al di là dell’appartenenza di partito. Servono i discorsi alla nazione, serve una narrazione al paese che renda la tua leadership non di parte».
Intanto l’opposizione le rinfaccia ogni giorno il suo essere di destra... 
«Di destra è un conto, fascista un altro. L’ossessiva evocazione del pericolo fascista è ridicola, queste sono polemiche innescate da una sinistra che non riesce a formulare proposte concrete, aderenti alla realtà. Il modo di rispondere però non può essere sgangherato né aggressivo come spesso fanno diversi rappresentanti della destra. Serve un salto di qualità». 
 

 

In vista delle elezioni europee del prossimo anno, la destra italiana potrebbe replicare il modello della grande coalizione con popolari e socialisti? 
«Mi sembra assai improbabile perché sarebbe una grande ammucchiata. Penso che il centrodestra si batterà per una maggioranza di destra-centro odi centro-destra, allargata ai popolari».
E Marine Le Pen? 
«La presenza della leader francese rende impossibile l’operazione con il centro».
In Francia Le Pen è la principale avversaria di Macron.
«Macron annaspa. Tanto in politica interna che estera ha perso peso e influenza, gli si sta sgretolando il ruolo in Africa, non ha più un rapporto privilegiato con la Germania. Leggo che il governo francese starebbe valutando l’intervento militare in Niger: sarebbe l’ennesima sciagura, come l’invasione della Libia». 
Come se la passa l’Europa?
«Male, non è una novità. L’Unione europea non riesce a essere soggetto politico. È l’alfa e l’omega di tutti i suoi problemi, a partire dalla conclamata incapacità di controllare le sue frontiere esterne. Non si può pretendere però che sia Giorgia Meloni a trovare la soluzione a questo problema».
I guai giudiziari di Daniela Santanché e di altri membri dell’esecutivo potrebbero nuocere al governo?
«Non credo, queste sono vicende che non spostano voti. Io sono da sempre contrario all’automatismo delle dimissioni per un avviso di garanzia. In Italia esiste una politica giudiziaria che troppe volte ha comportato la fine di carriere politiche per persone poi prosciolte o assolte. Forse in altri paesi le dimissioni sono un esito giustamente inevitabile ma in Italia non può essere così perché quando si tratta di politici la magistratura si dimostra in generale troppo frettolosa nella fase delle indagini. Non possono essere i magistrati a selezionare il personale politico».
E sulla separazione delle carriere?
«Io sono da sempre favorevole. Mi auguro che il ministro Carlo Nordio tenga fede alle sue promesse». 

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