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Pci, dal culto di Norberto Bobbio al conformismo ideologico

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Corrado Ocone
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C’è stato un periodo in cui Norberto Bobbio è stato considerato dalla sinistra italiana una sorta di santo laico, fatto oggetto di venerazione acritica. Erano i primi anni Novanta, allorquando con il comunismo sovietico, con cui il vecchio Pci non aveva mai avuto la forza di rompere, erano morti o diventati inutilizzabili anche i miti che avevano accompagnato i militanti e i dirigenti del Partito per tutto il dopoguerra. Il filosofo torinese, che aveva ormai superato la soglia degli ottanta anni, e che aveva conquistato col tempo una indiscussa autorevolezza nel campo degli studi, fece poco o nulla per sottrarsi all’abbraccio interessato dei compagni, che lo omaggiarono con eventi, iniziative, lunghe interviste sui giornali amici. Non solo. Nel 1994, Bobbio si fece convincere dall’editore Donzelli a pubblicare degli appunti, che lui stesso non considerava “definitivi”, sui concetti di destra e sinistra. Sotto la forma di un agile pamphlet, divennero in poco tempo un successo mondiale. Viziato da un pregiudizio valutativo che vedeva il bene in una parte politica e il male nell’altra, il libro ben si prestava, dopo le dure prove della storia, a confermare i sinistri, con l’aura della “scientificità”, nel più inveterato dei loro vizi storici: l’asserita “superiorità morale”.

IL MAESTRO E GLI IDOLATRI
Intorno a Bobbio, d’altronde, nel più stretto giro torinese, si muovevano allievi più o meno presunti che erano palesemente interessati a coltivare, fino all’idolatria, il “culto del maestro”, parlando in sua vece e trasformando il teorico della laicità in un apostolo di un nuovo genere di confessionalismo moralistico e intollerante. Uomo del dubbio l’uno, uomini dalle granitiche certezze gli altri. Bobbio non li sconfessò, pur compiendo in questi anni importanti revisioni del suo pensiero e del suo universo morale, rendendosi conto in qualche modo come le vecchie categorie con cui si era creata l’ideologia italiana dominante andassero quanto meno riviste in un’epoca in cui il mondo diviso in blocchi cedeva il posto ad una globalizzazione incontrollata (di cui egli fra l’altro intuì subito anche i rischi e pericoli).

 

 

Fra le vecchie categorie, c’era quella di antifascismo, che ormai la sinistra, diventata conservatrice per forza di cose, si apprestava a rispolverare e ad assumere in una veste rigida e parziale. Bobbio si prestava particolarmente ad essere assunto come il campione di questa ideologia perché per tutta la vita si era sforzato di instaurare, da posizioni di “terza forza” e socialiste (fu ad esempio uno dei teorici della svolta craxiana), un dialogo coi comunisti. Se in questa volontà di “gettare ponti” a sinistra ci sia sta la convinzione che il comunismo fosse ontologicamente diverso dal fascismo, come ancora oggi vorrebbero i sinistri, oppure agisse in lui il realismo di chi si rendeva conto che il Pci aveva una così forte capacità attrattiva da doversi solo sperare che si emendasse dei suoi “peccati originali”, è difficile dirlo. O quanto meno, Bobbio oscilla, anche a seconda dei momenti storici, fra le due interpretazioni. Fatto sta che l’idea di “addomesticare” i comunisti facendoli diventare liberali si può dire che sia stata una pia illusione.

 

 

GLI EREDI
Gli attuali eredi di quella forza politica sono molto cambiati, in un modo che Bobbio, fino in fondo uomo del suo tempo sicuramente non comprenderebbe, ma ciò che è rimasta immutata è l’idea di sentirsi i migliori, la volontà di dettare l’agenda alla politica e alla società e di escludere dal dibattito pubblico chi osa contraddire o avere idee di verse. Bobbio ha avuto sempre il merito di distinguere l’impegno dell’uomo di studio da quello dell’intellettuale impegnato, e per questa parte non lo si può non apprezzare. Bisogna ammettere onestamente che le sue analisi sulle grandi categorie e sugli autori del pensiero politico moderno restano dei classici ed hanno un valore per tutti. L’impressione, anzi la certezza, è che però a sinistra oggi gli studiosi seri siano stati sostituiti da “figurine” senza particolari capacità intellettuali ma utili perché pronte a recitare a comando gli slogan e le banali parole d’ordine della “ditta”. Quell’incontro fra borghesia colta e classe operaia che Bobbio ingenuamente auspicava si è infranto di fronte alla scomparsa della seconda e alla proliferazione del conformismo nella prima.

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