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Premierato, benefici e problemi da risolvere: la riforma ai raggi X

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Nicolò Zanon*
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Introdurre in Costituzione l’elezione popolare del presidente del Consiglio consentirebbe, a mio avviso, di cogliere due risultati importanti. Da un lato, aiuterebbe a risolvere l’annoso problema dell’instabilità del governo, dall’altro attribuirebbe agli elettori un potere reale di scelta circa l’indirizzo che desiderano imprimere alla società di cui fanno parte. Una riappropriazione di sovranità, dopo troppe esperienze di segno ben diverso. Aggiungo che le critiche pregiudiziali avanzate su questo secondo aspetto aprono un problema culturale di non poco momento, poiché segnalano una singolare diffidenza nei confronti del voto popolare e della stessa democrazia. È qui all’opera una sorta di reazionarismo di ritorno, le cui motivazioni andrebbero analizzate e comprese a fondo. Le trovo, comunque, poco convincenti e non conciliabili con il principio solennemente iscritto nell’articolo 1 della nostra Costituzione, che afferma tuttora (finché vige!) l’appartenenza al popolo della sovranità. Perché rinunciare in principio a fornire agli elettori un’occasione universale di partecipazione politica, dai caratteri certo semplificati e “immediati”, ma innegabilmente coinvolgenti e, forse, anche idonei a rimediare al crescente (e spesso lamentato) astensionismo?

Detto questo, sarebbe necessario che dalle premesse (e dalle promesse) da cui muove la proposta di riforma si traessero le dovute conseguenze. Cosa dovrebbe accadere, in particolare, se il rapporto fiduciario fra esecutivo e presidente eletto, da una parte, e maggioranza parlamentare, dall’altra, andasse in crisi? Tenendo conto del fatto che il presidente del Consiglio è stato eletto direttamente, la logica di fondo esigerebbe sempre il ritorno immediato alle urne. Il potere di scioglimento nelle mani del premier, del resto, ha una funzione deterrente, serve proprio ad evitare le crisi, non a provocarle. Si potrebbe paradossalmente dire che il potere di scioglimento serve proprio a... non sciogliere. Se Berlusconi o Prodi ne avessero potuto disporre, i loro esecutivi avrebbero goduto di ben maggiore stabilità.

 

 

 

E IN CASO DI DIMISSIONI?

Ora, tutto questo ha una logica stringente, ma ammettiamo pure che sia troppo rigida. In effetti, ci possono essere situazioni in cui il contesto interno o internazionale sconsigliano di andare subito al voto. La stessa maggioranza potrebbe esprimere una volontà di cambiamento, che coinvolge anche la persona del presidente del Consiglio. Allora, si può ritenere che, in caso di rottura del rapporto fiduciario, non è inopportuno consentire al presidente sfiduciato uno spazio per riflettere (una settimana? Dieci giorni?) e scegliere se rassegnare subito le dimissioni ovvero proporre al presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere, che a quel punto dovrebbe concederlo. Se la scelta fosse per le dimissioni senza scioglimento, spetterebbe al presidente della Repubblica decidere di nominare un nuovo presidente del Consiglio, purché in coerenza con i risultati elettorali, oppure, prendendo atto di una situazione non rimediabile, procedere allo scioglimento (la stessa alternativa si presenterebbe in caso di morte o impedimento permanente del presidente del Consiglio eletto).

Purtroppo, il testo del progetto per ora conosciuto, dopo il deposito degli ultimi emendamenti, non sembra orientato con chiarezza in questa direzione, a causa di contrasti interni alla coalizione di maggioranza. Prevede in effetti lo scioglimento solo se il rapporto fiduciario si rompe a seguito della formale approvazione di una mozione motivata di sfiducia: il che fa pensare che così non accadrebbe, invece, in caso di voto negativo su un provvedimento specifico, sul quale il governo abbia posto la fiducia. E si sostiene, singolarmente, che questa ipotesi rientrerebbe nel caso delle cosiddette “dimissioni volontarie”, che dischiudono la strada al famoso “secondo premier” (non eletto direttamente!), che continua ad essere più forte del primo, perché, dopo di lui, ci sarebbero solo le elezioni.

Ma il rapporto fiduciario è unitario, e non ammette distinzioni. La sua rottura, allo stesso modo, dovrebbe comportare le medesime conseguenze. D’altra parte, le esigenze contingenti di coalizione, e i reciproci rapporti di forza, non possono riverberarsi oltremisura su un testo costituzionale. Le coalizioni passano. La Costituzione è fatta per durare.

*Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Milano, già vicepresidente della Corte Costituzionale.

 

 

 

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