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Maurizio Landini, il sindacalista flagello dei lavoratori

Maurizio Landini

Francesco Specchia
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Per un arabesco del destino – disegnato dalle sue nodose mani di ex saldatore per mancanza di prove - Maurizio Landini s’è trasformato da anni nel flagello di quei lavoratori che predica di proteggere. Savonarola delle catene di montaggio molto poco frequentate, sedicente difensore di diritti civili, esploratore di un mondo operaio che non è più, Landini nella sua ossessione anti-governativa giudica l’esonero dal posto di lavoro «uno sgretolamento del tessuto sociale» e «un imbarbarimento delle relazioni umane». E, in virtù di questo, pianifica massicce campagne di mobilitazione contro l’insicurezza sul lavoro e ben tre referendum contro i licenziamenti individuali e il sistema dei sub-appalti. La qual cosa sarebbe buona e giusta. Se non fosse che il sor Maurizio è il capo della Cgil, il sindacato che sguazza nel brodo di allegri demansionamenti, mobbing e licenziamenti in tronco. Prendete – come denunciava, ai tempi, l’attuale sodale antimeloniano M5S - il sistema dei sub-appalti, che Landini vuole cassare. Venne usato dalla Cgil nel settore della sicurezza e in altri ambiti, applicando salari al di sotto dei 9 euro all’ora e sfuggendo alle azioni legali dei lavoratori licenziati.
 

NESSUN RIASSUNTO
Emblematico è il caso dell’associazione prevenzione sicurezza edile di Caserta, un consorzio partecipato Cgil nel 2023. È bastata una mail: «Licenziamento per giustificato motivo oggettivo» , ed ecco accompagnati alla porta, dopo 25 anni, Rossella Borrelli, 47 anni con altre 5 persone (Giuseppe Maesano, Ornella Diomaiuti, Filomena di Fonzo, Rocco di Resta e Carmine Varone). E nessuno di loro può essere riassunto perché l’ignobile sistema del sub-appalto che Landini vuol cassare appunto, regala uno scudo al sindacato contro la richiesta di ri-assunzione. Altro esempio della strepitosa doppia morale landinana sta nel florilegio degli esoneri. E non parlo della solita, citatissima epurazione del portavoce del sindacato Massimo Gibelli su cui si sbizzarrì Il Riformista targato Matteo Renzi. Qui siam o all’arte raffinata del licenziamento a raffica. Vado random. A Palermo spicca la causa di lavoro intentata da Enza Renna per 35 anni dipendente malata Cgil, ed infine dirigente della Camera del lavoro del capoluogo siciliano,trombata in un bah.

 



Poi c’è la storia di Antonella Granello, licenziata su due piedi dalla Cgil di Trapani: la donna, tra l’altro, stava promuovendo un coordinamento di sindacalisti licenziati dal sindacato. E ancora. E ecco apparire dall’oblio Francesca Carnoso, compagna della Fisac Cgil. Eppoi riempì le cronache, a Taranto, il siluramento di Iginia Roberti, 56 anni, con madre malata e fratello disabile, da 34 anni funzionaria della Cgil. Eccetera eccetera. Per completare il quadro, si potrebbero tranquillamente sfogliare i post dell’inquietante profilo Facebook Licenziati dalla Cgil, 2500 iscritti da cui s’invoca la disposizione mai eseguita della Costituzione: una legge quadro «sulle prerogative del sindacato con una norma che stabilisca la regole delle trasparenza nelle spese delle contribuzione dei lavoratori». Anche comunista autentico nel suo anacronismo, Marco Rizzo chiese al Landini delucidazioni sull’uso delle quote degli iscritti Cgil «trattenute dalle buste paga dei lavoratori”, riferendosi - almeno credo- a quelli non ancora licenziati dalla stessa Cgil. Nessuna risposta, ovviamente. Il fatto sorprendente è che, preso da questa sua ossessione contro l’esecutivo a prescindere, Landini si ostina ad affermare che la Meloni affama il popolo e che in Italia manca il lavoro. Ma lo fa sbagliando la tempistica, proprio in un momento storico in cui l’occupazione in Italia è ai livelli più alti di sempre con 23,7 milioni di occupati nel quarto trimestre e il tasso al 61,9% trai 15 e i 64 anni; e gennaio è stato perfino il mese record per l’occupazione femminile laddove, a trainare la crescita, spiccano le fasce d’età più adulte, in particolare le 55-64enni, che hanno registrato un incremento di 284mila occupate, +15,1%, tra il 2019 e il 2023.


E, a proposito di «salario minimo» scoperto del leader sindacale solo con l’ascesa del centrodestra alla faccia della sua stessa contrattazione collettiva: be’, bisognerebbe ricordare i contratti collettivi rinnovati per la vigilanza privata della cooperativa Servizi Fiduciari Sicuritalia, firmati da Cgil, Cisl e Uil, a 6 euro l’ora, ossia 3 euro sotto quel salario minimo di cui la Cgil fa, ora, la sua bandiera. Ora, bisogna stare attenti perché Landini s’incazza per un nonnulla. Infatti è bastato che Carlo Calenda –per direl’accusasse di non aver fiatato sul licenziamento di 7500 lavoratori attraverso esodi incentivati dalla fusione Stellantis del 2021, che all’ex boss della Fiom è partita subito la querela. Però ha ragione Calenda. L’ultima volta gli attivisti Fiom sono dovuti andare in Francia per manifestare contro Stellantis, per non costringere i media italiani a parlarne. C’è una sola intervista in cui viene domandato a Landini cosa ne pensasse di Stellantis, azienda con sede in Olanda, che chiede prestiti in Italia. Landini sibilò: «Mi fa sorridere che si sia scoperto adesso dove sia la sede Fca. È cosi dal 2013 ma comunque questo problema non riguarda solo Fca, c’è anche Mediaset!». E uno qui dice: ma che c’entra Mediaset? Mica è una gara.

TRA RIZZO E DI VITTORIO
Una fantastica faccia di tolla, il nostro Maurice. Che tocca vette artistiche nel caso Marelli venduta anch’essa da Elkann promettendo zero esuberi; nel caso Crevalcore; nel caso del taglio della produzione di Mirafiori. Del caso, insomma, dei nostri gioielli industriali venduti via via al capitalismo delle multinazionali. Anche qui, Landini muto. In compenso l’uomo si produce in una gragnuola irresistibile di dichiarazioni e interviste al quotidiano Repubblica. Che –toh!- è di Elkann. Sempre Rizzo, stronzissimo, sostenne che Landini «ha tradito i suoi ideali», vaticinandogli un futuro radiosio in politica. Landini, ancora più incazzato sfiorò l’embolia. Rizzo rispose evocando, a sua volta, l’incazzatura di Giuseppe Di Vittorio, dal paradiso dei sindacalisti, alla vista di una Cgil iscritta sì al partito dei padroni, ma senza aver né i soldi, né le phisique du role...

 

 

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