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Anita Maurodinoia, la sinistra finge di non conoscere miss preferenze

Annarita Digiorgio
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«Emiliano andò a casa della sorella con Decaro, ma il sindaco non ricorda nulla, erano lì di passaggio per andare in concattedrale»... Finirà come la storia delle 10 versioni sulla visita a casa della sorella del capo clan, anche quella dei voti portati da Anita Maurodinoia a Decaro ed Emiliano. Che oggi fanno finta di non conoscerla, loro sono garantisti, e se scoprono qualcosa denunciano. Ma ad Anita Maurodinoia l’avevano denunciata? Decaro non si era mai chiesto come un’assicuratrice di Triggiano, non residente a Bari, potesse portargli in dote 6.200 voti, prima degli eletti, superando i segretari di partito di Bari città. E non se l’era chiesto il Pd, che la candidò alle regionali e alla Camera, al secondo posto blindato (solo perchè capolista doveva esserci un uomo) a cui lei doveva portare i voti. In qualunque modo. In un post della campagna elettorale per le regionali si ritrae con Carmen Lorusso, la consigliera comunale moglie di Olivieri, arrestato un mese fa nella maxi inchiesta per scambio politico mafioso. «Sapere di averla con me mi dà maggior forza per scendere in campo per il partito democratico e Michele Emiliano» scriveva Maurodinoia «non solo per il suo sostegno elettorale ma anche perchè mi arricchirà col suo sapere».

Eppure ancora oggi Decaro afferma che Lorusso era tra le fila del centrodestra. Cosa di cui si sono convinti anche molti esponenti del Pd nazionale, che dicono di essere contrari al voto di scambio e al trasformismo. Addirittura chi è andato in tv ieri per il Pd ha detto che l’inchiesta riguarda Triggiano e non Bari. Eppure gli inquirenti scrivono chiaramente che lo stesso sistema di voto di scambio per Maurodinoia (50 euro, bombole di gas, buoni pasto, assunzioni) era stato utilizzato per le regionali e le amministrative di Bari. Ovviamente è tutto da dimostrare, e lo farà il processo. Ma allora perchè il Pd si affretta a disconoscerli? Se sono garantisti, possono continuare a difenderla.

 

 

Come fecero durante la campagna elettorale per le regionali quando venne fuori un’indagine della Procura sui vertici Adisu, l’agenzia regionale per gli studenti, al cui vertice Emiliano dal 2017 nomina Alessandro Cataldo, cugino e omonimo di Sandrino, il marito dell’assessore. Anche lui di Triggiano. Sui giornali vennero fuori i nomi di diversi assunti dall’agenzia regionale che erano candidati, parenti, o militanti della lista civica fondata dal marito dell’assessore. Chissà se fu Decaro a denunciarli. Lei comunque rimase candidata nel Pd, in accoppiata con Domenico De Santis, attuale segretario regionale. Che, a differenza del suo partner elettorale, non fu eletto. Mentre lei dopo i 20mila voti portati al Pd fu nominata da Emiliano assessore ai trasporti. E il cugino rinnovato presidente Adisu (ancora in carica). Per non rompere con il Pd, la coppia era già attiva per le prossime Comunali di Bari a sostengo del capo di gabinetto del Comune Vito Leccese. Il candidato voluto da Decaro ed Emiliano per garantire l’apparato. Né Leccese, né i suoi due padrini, li hanno disdegnati o allontanati.

 

 

Da qui nasce il ritiro di Laforgia, che da sempre era stato contrario ai gazebo accusando la partecipazione dei clan, dalle primarie. A cui Conte si è accodato, lasciando Schlein con il cerino in mano. Anche se lo stesso candidato di Conte, sul palco con Vendola condannato in primo grado per il processo Ilva, aveva tra i suoi sostenitori personaggi noti alle cronache sia giudiziarie che politiche. Schlein sul palco dirà che lei è il rinnovamento, e chi sa qualcosa deve aiutarli a tenere fuori dal Pd il trasformismo e la corruzione. Al centrodestra che lo ha fatto, chiedendo la commissione d’accesso, gli hanno gridato «giu le mani da Bari».

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