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Mario Draghi, Matteo Salvini svela tutti i suoi scivoloni al governo

Fabio Rubini
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S’intitola Controvento la seconda fatica editoriale di Matteo Salvini che uscirà in libreria il 30 aprile, ma che verrà presentata a Milano il 25, giorno della festa della Liberazione. Una data che sembra suggerire una sorta di “liberazione” personale per il leader della Lega, che dopo la caduta del governo gialloverde e la partecipazione all’esecutivo tecnico guidato da Mario Draghi, ha sentito il bisogno di raccontare agli italiani quello che è veramente successo in quegli anni e spiegare le ragioni che hanno spinto a fare scelte che, sotto il profilo elettorale, hanno portato il Carroccio a pagare un prezzo salato. Il libro, edito da Piemme, nelle sue 272 pagine promette di raccontare tutto questo e anche di più. Ieri sono uscite le prime anticipazioni che riguardano la creazione del governo tecnico e la difficile convivenza tra Salvini e Draghi. E, come vedremo tra poco, non sono mancati i colpi di scena per quelli che l’autore chiama «scivoloni» di Mario Draghi.

Il racconto di Salvini parte dal febbraio 2021 quando: «Il Colle affidò l’incarico di formare un nuovo governo di emergenza a Mario Draghi. Un nome di prestigio internazionale che circolava da tempo. Nel centrodestra, Draghi godeva di ottima considerazione». Pochi giorni dopo iniziano i contatti tra i vari leader e il presidente incaricato. Ecco come Salvini racconta il primo approccio con l’ex premier: «Telefonai a Mario Draghi quando il governo era tutto da costruire, e ci mettemmo d’accordo per vederci riservatamente. Il premier in pectore mostrò massima disponibilità a collaborare, pur consapevole della drammaticità del momento e della difficoltà generata da una maggioranza eterogenea. Non potevamo immaginare - prosegue nel racconto il leader della Lega - l’evoluzione della crisi Covid con tutte le laceranti conseguenze, a partire dal dibattito sulle libertà personali, sull’equilibrio tra diritto alla salute e del lavoro, su green pass e vaccini». Tutte tematiche sulle quali la Lega ha pagato un prezzo piuttosto salato in termini di consensi. Non è un caso che il racconto di Salvini prosegua con le prime crepe tra lui e l’allora premier: «Al di là della cortesia dei primi approcci, il premier Draghi scelse di non condividere con i segretari dei partiti nemmeno la scelta dei ministri. Ricordo che ero a casa, quando mi squillò il telefono. palazzo Chigi. Da lì a dieci minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al Colle. Draghi mi comunicò di aver individuato in Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani i leghisti meritevoli di ottenere dei dicasteri. Nomi autorevoli che godono della mia totale stima e fiducia - chiosa Salvini -, ma il metodo era evidentemente sbagliato». E così la pensavano anche gli altri partiti».

Il racconto prosegue con altre stilettate di Salvini a Draghi: «Non fu l’unico scivolone, perché nell’esecutivo che doveva essere dei migliori figuravano alcuni nomi francamente sconcertanti come la disastrosa Luciana Lamorgese confermata al Viminale, per non parlare di Roberto Speranza alla Salute, fino all’irriducibile Di Maio agli Esteri, non esattamente una partenza brillante. Dalla manovra alle nomine, espressi sempre al presidente del Consiglio la massima determinazione a semplificargli la vita. Senza mai avanzare pretese su poltrone o incarichi». Tanta premura, però, non venne ricambiata: «Alla vigilia della prima manovra economica, organizziamo una riunione informale della Lega con il ministro Giorgetti. Chiamai Draghi per confrontarmi su alcune misure e spiegare che la bozza del governo sulla rottamazione delle cartelle esattoriali era assolutamente insufficiente per raggiungere gli obiettivi che ci eravamo ripromessi. Era e rimane nostra intenzione garantire ai cittadini che hanno correttamente fatto la dichiarazione dei redditi, ma che non sono riusciti a onorare il proprio debito con il fisco, di ripartire pagando solo una parte del dovuto. Chiamatelo saldo e stralcio, rottamazione o pace fiscale: l’importante è il risultato. Non è un premio ai furbi o ai delinquenti racconta ancora Salvini -, ma un percorso ragionevole per restituire dignità e lavoro a chi si è trovato di fronte a difficoltà inaspettate. Purtroppo, nonostante le rassicurazioni del premier, quel governo non fece assolutamente nulla di utile in questa direzione».

Le anticipazioni di Controvento riguardano infine la corsa al Colle: «All’inizio del 2022 si giocò la delicata partita del successore di Sergio Mattarella. Nella conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio aveva fatto intendere di ritenere sostanzialmente conclusa la sua missione al governo. Un’uscita che in molti avevano letto come l’ammissione di voler puntare al Colle. Per la prima volta nella storia, il centrodestra partiva con numeri migliori rispetto al centrosinistra, ma non sufficienti a eleggere un proprio esponente senza il sostegno di almeno un pezzo dello schieramento rivale». E Salvini rivela che Draghi a quel posto ci puntava sul serio: «Ricordo un ultimo incontro con il presidente Draghi in cui sondava la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per un’eventuale sua ascesa al Colle. Alla mia domanda diretta: «In caso di sua elezione che ne sarà del governo?», la risposta non arrivò. O meglio, ci fu un «ne parleremo dopo...». 

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