Maurizio Landini e compagni fermano l’Italia e godono

Nuova iniziativa contro il governo (e contro i cittadini) del capo della Cgil E fa nulla se l’esecutivo ha appena sbloccato contratti fermi da 11 anni
di Pietro Senaldimercoledì 7 maggio 2025
Maurizio Landini e compagni fermano l’Italia e godono
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A cosa è servito lo sciopero di ieri dei treni indetto da Maurizio Landini? «A niente, tant’è che io sono in viaggio nel mio scompartimento» mi risponde un vecchio leone della Cgil. «Certo ci sono dei ritardi, ma questa ormai non è una novità». E allora perché? «Per disperazione...». Succede che quando non si hanno idee nuove, si torna indietro alle vecchie, pensando che quel che aveva successo decenni prima, tutto un altro mondo, porti risultati anche oggi.

In realtà lo sciopero dei treni qualche disagio l’ha creato: ha mandato in tilt la stazione Termini di Roma e alcuni convogli hanno accumulato oltre due ore di ritardo. Se è questo che il sindacalista rosso cercava, rompere le scatole a chi deve spostarsi, può andare soddisfatto. Ieri gli è andata meglio che il Primo Maggio, e non c’era neppure il concertone: la protesta gli riesce meglio della festa. La giornata del lavoro, giovedì scorso, è stata forse quella di minor successo degli ultimi decenni. Il segretario aveva puntato tutto sulle morti in fabbrica e nei campi, problema drammatico, anche se per esempio in Francia sono circa il 30% in più, perché è il solo terreno comune che aveva con Cisl e Uil, che altrimenti hanno piattaforme diverse. Sfortuna ha voluto però che ventiquattr’ore prima abbia parlato Sergio Mattarella, con un discorso molto più alto che gli ha preso tutti i titoli, e di fatto a Landini non è rimasto che fare da eco al presidente.

C’era bisogno di un’altra occasione, come le squadre sconfitte che hanno fretta di scendere in campo per cancellare il flop. Non è stato un trionfo, ma la solita sfilata contro il governo, che non è una novità ma è ormai l’unico senso dello sciopero, arma che la Cgil usa solo in chiave politica. D’altronde per Landini la questione non sono mai state le vertenze sindacali. Chi ricorda la difesa a spada tratta di una categoria? Viene dalla segreteria della Fiom, i metalmeccanici, ma Stellantis - circa 130 milioni di ore di cassa integrazione l’anno scorso per lui è una sconosciuta.

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Nella fattispecie, il governo il mese scorso ha firmato il rinnovo del contratto per il trasporto locale, che era fermo da undici anni: 200 euro al mese in più in busta paga e una tantum da 500 euro. Quello delle Ferrovie dello Stato è ancora aperto, ma non è competenza dell’esecutivo; la parola sta all’azienda. Andrà chiuso, certo, magari anche aumentando la flessibilità, oraria e di mansioni, dei dipendenti, a fronte degli aumenti richiesti.
Ma sono aspetti secondari perla Cgil.

Il sindacato è concentrato sul referendum contro le leggi sul lavoro scritte e votate dal Pd meno di dieci anni fa. «Andare alle urne è il nostro atto di rivolta» arringa il leader della Cgil, è c’è da riconoscergli un passo in avanti sulla via della democrazia, rispetto a quando invocava dalla piazza ben altra rivolta sociale. Per raggiungere il quorum gli servono 23-24 milioni di voti. Impossibile, dicono gli esperti. Logica vorrebbe che dopo aver indetto un referendum e averlo perso la sua partita politica fosse compromessa definitivamente, ma per non morire Landini ha abbassato l’asticella: si riterrà soddisfatto con dodici milioni di voti, quelli più o meno corrispondenti all’elettorato attivo della sinistra. Dovesse ottenerli, l’ex metalmeccanico canterebbe vittoria e sosterrebbe di valere da solo quanto tutta l’opposizione unita; poco importa se vent’anni fa, nel 2003, il flop del referendum per estendere l’articolo 18 anche alle aziende con meno di quindici dipendenti, segnò la fine politica di Fausto Bertinotti, tra le altre cose predecessore di Landini alla guida del sindacato.

Quello che non si capisce è il riflesso pavloviano del Pd, che non riesce a non andare dietro a questo pifferaio magico che vuole condurlo al naufragio. Si comprende Giuseppe Conte, che per affossare i dem farebbe patti con il diavolo. Si può comprendere il duo Fratoianni-Bonelli, che approfitta dello sciopero per attaccare il governo sui salari bassi, ma poi evoca l’esempio spagnolo, dove i lavoratori guadagnano meno dei nostri, malgrado il Pil cresca un po’ di più. E allora tocca rassegnarsi al fatto che Elly Schlein, pur di marcare le distanze da Matteo Renzi e dai renziani rimasti nel suo partito, è pronta a morire landiniana. A meno che la Nazarena non riesca davvero a vedere oltre il suo naso e sia schiava del sillogismo sciopero uguale disagio, disagio uguale governo in difficoltà. Quindi, un-due-tre, casino: l’illusione di dar fastidio a Giorgia Meloni val bene uno sciopero; anche se in realtà l’agitazione scoccia soprattutto agli elettori. Viene da pensare che la cosa più rilevante della Cgil ieri sia stata la nascita della sezione arbitri sportivi del sindacato. Gli atleti dovranno stare attenti: gli iscritti hanno il cartellino rosso facile.