Pd, Papi stranieri e federatori: alle prese con lo scouting eterno

Dai tempi dell’Ulivo è aperta la caccia al nome ad effetto da gettare nella mischia. Una selezione fatta per superare le divisioni tra i partiti Ma adesso Elly e Conte non ci pensano proprio a fare un passo indietro
di Elisa Calessisabato 31 maggio 2025
Pd, Papi stranieri e federatori: alle prese con lo scouting eterno
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Si è cominciato coi “federatori” (Paolo Gentiloni, Ernesto Ruffini), si è proseguito con gli outsider (Beppe Sala), si è andato avanti con le leadership più radicali (Maurizio Landini). Senza dimenticare l’usato sicuro della competenza e affidabilità sui mercati (Mario Draghi). Ma perché, a un certo punto si è detto, non una leadership vicina alla gente, come quella dei sindaci? E allora ecco spuntare dal mazzo Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, o - carta più coperta, ma altrettanto forte nei salotti di sinistra - Roberto Gualtieri, primo cittadino di Roma, che non solo ha riconquistato il cuore dei romani, dopo anni di disagi a causa dei mille cantieri in giro per la Capitale, ma è anche diventato un fenomeno sui social, inaugurando piazze, affacci sul Tevere e ristrutturazioni urbanistiche. E se vogliamo una donna, c’è anche chi fa il nome di Rosy Bindi.

SEGNALI DI FUMO
Ma siccome lo scouting del leader perfetto - perfetto, si intende, per un certo, breve momento - è una pratica sempre attiva nel centrosinistra, negli ultimi giorni si è aggiunta una nuova carta sul banco: Silvia Salis, neo-eletta sindaco di Genova. La donna che è riuscita a mettere insieme un campo larghissimo, laddove, solo otto mesi prima (alle elezioni regionali) non si era riusciti. Essendo stata capace e avendo, peraltro, vinto, dimostrando non solo carisma, ma anche determinazione e abilità politica, è diventata la new entry del gioco “cerchiamo un leader”.

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Anche se, va detto, l’interessata ha subito smentito. Già lunedì sera, quando, a risultati ancora non definitivi, un po’ tutti gli chiedevano se si sentiva un “laboratorio” per il centrosinistra nazionale. Macché, lei diceva. E di nuovo ieri, al Corriere della Sera, a domanda diretta se si senta un modello per il centrosinistra, ha risposto che «mi pare un esercizio teorico perlomeno astratto e prematuro. Ho appena vinto una elezione per mettermi al servizio della mia città. Ogni altro ragionamento è fuori dal mio orizzonte». E ancora: «Ho davanti un mandato di cinque anni. E se il lavoro andrà bene potranno diventare anche di più. Dopodiché, capisco che per chi è all’opposizione una vittoria in una città governata dalla destra da otto anni è un bel segnale che dà fiducia».

Ma in questo gioco, le parole non contano. E ai cercatori di leader, più che le smentite, ha colpito l’apertura a Meloni: «Credo», ha detto la sindaca di Genova, «sia molto capace». Come è capace lei: capace di unire il centrosinistra (da Matteo Renzi a Nicola Fratoianni), ma anche di far finire l’eterna guerra tra destra e sinistra, riportando la competizione a una alternativa dura, ma rispettosa. Sarà lei, insomma, la leader che il centrosinistra eternamente aspetta? La risposta, diciamolo subito, è no. Almeno per ora non è in vista, poi chissà. Fra cinque anni tutto è possibile. Intanto va registrato che la figura del “federatore”, di cui per mesi si è parlato e scritto, sembra scomparsa.

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Ruffini sta portando il suo libro in giro per il Paese, ma per ora non sembra aver suscitato un movimento paragonabile ai comitati dell’Ulivo. Gentiloni si è autoescluso con certe parole troppo nette su Ucraina e riarmo europeo. Sala è ritornato a essere quello che era: sindaco di Milano. I fan di Draghi sperano sempre in un suo ritorno, ma, come si è visto anche di recente, quando è ricomparso in Parlamento per illustrare il suo Rapporto sul futuro della competitività europea e gli eletti a un certo punto si sono messi a guardare l’orario sul display dello smarthphone, l’aurea che aveva qualche anno fa è scomparsa. Quanto a Manfredi e Gualtieri, ne hanno a sufficienza del lavoro che stanno facendo.

ETERNI DUELLANTI
E così lo sport del “cerca un leader a sinistra” sta provocando un curioso effetto collaterale. Ne restano in piedi sempre e solo due: Elly Schlein e Giuseppe Conte. Le chiacchiere sono tante, le suggestioni altrettante. Ma alla fine dei conti i leader in corsa sono loro. E tra i due, Elly - che sempre si è sottratta al gioco, rifiutandosi anche solo di rispondere a una domanda del genere - è ancora, nonostante tutto, la più forte. In questo, forse, si vede la leadership femminile: determinata, cammina verso l’obiettivo, senza farsi distrarre da adulatori o detrattori, da critiche o malizie. Forse anche per questo, a insidiare la sua leadership potrebbe solo essere una donna. Peccato che Salis, per cinque anni, sarà occupata a Genova.