Bruxelles, il Pd esplode: "Vile astenersi su Ursula"

di Elisa Calessimercoledì 9 luglio 2025
Bruxelles, il Pd esplode: "Vile astenersi su Ursula"
3' di lettura

 Alla fine i Socialisti e Democratici, nonostante tutto, dovrebbero votare contro la mozione di censura a Ursula von der Leyen. Risolvendo, così, anche i mal di pancia che, nelle ultime ore, hanno attraversato il gruppo dem a Strasburgo ma anche quello a Roma. Segno ne è la dichiarazione di Filippo Sensi, senatore dem, nettamente riformista, che ieri, a commento della notizia di una possibile astensione del gruppo dei Socialisti, ha scritto su X: «Non ho alcuna simpatia per le ambiguità di UVDL (che, tuttavia, erano note). Ma pensare, come mi pare facciano i socialisti europei, di astenersi sulla mozione di sfiducia dei rossobruni mi parrebbe qualcosa di peggio di un errore: una cinica viltà».

Il riferimento è alla mozione di censura presentata dall’eurodeputato conservatore rumeno Gheorge Piperea, contro la presidente della Commissione, nella quale le si contesta la mancanza di trasparenza nello scambio di messaggi sms che ci fu, durante la pandemia di Covid-19, tra lei e i vertici di Pfizer, durante i negoziati per i vaccini. Lunedì era trapelato che i Socialisti e democratici fossero pronti ad astenersi. Per marcare un malcontento più generale nei confronti della Von der Leyen, a cui si rimprovera la scelta di aver aperto ai gruppi di destra, inaugurando una sorta di doppio binario per cui su alcuni provvedimenti si affida alla maggioranza che l’ha riconfermata, in altri ai Conservatori che, invece, non l’hanno sostenuta, ma su alcuni temi sono pronti a farlo.

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Anche tra i dem, la discussione c’è stata e c’è. La parte riformista non ha per nulla gradito la notizia per cui i Socialisti sarebbero pronti ad astenersi. Non a caso, da lunedì, è stato un susseguirsi di riunioni. «Si tratta di una mozione presentata dall’estrema destra», spiega una fonte dem a Bruxelles. «È chiaro che ci sono dei negoziati in corso e che c’è un malumore nei confronti della Von der Leyen. Ma i socialisti non possono votare con i partiti dell’estrema destra». La mozione contro von der Leyen, infatti, è sostenuta da circa un terzo del gruppo Ecr (ma non da Fratelli d’Italia), dai Sovranisti e Patrioti, dagli italiani del M5S e da una parte dell’estrema sinistra. Ma anche una parte dei dem, quelli più vicini a Elly Schlein, erano tentati dall’astensione. Del resto l’Europa non è l’unico fronte che divide il Pd. L’altro, ancora più delicato, sono le elezioni regionali che si svolgeranno dopo l’estate, su cui il quadro non è ancora chiuso. I casi più spinosi sono la Toscana, la Puglia e la Campania. Nella prima, lo stallo ruota attorno al governatore in carica, Eugenio Giani, che aspetta di essere riconfermato dal Nazareno così da correre per un secondo mandato. Il suo consenso è alto, come ha dimostrato la classifica annuale del gradimento di governatori stilata dal Sole24ore e che lo ha visto al quarto posto. Eppure l’investitura da Roma non arriva. Il motivo è semplice: Schlein, che non ha nessuno dei suoi tra i presidenti di Regione, vorrebbe approfittare dell’occasione. E ha già due nomi nel cassetto: il segretario regionale Emiliano Fossi o il deputato Marco Furfaro. Si aggiunge che M5S e Avs, ossia gli altri due azionisti del campo largo, non vogliono Giani. E Schlein si è data come priorità di tenere unito il centrosinistra nelle prossime scadenze elettorali.

Poi c’è il caso Puglia: il predestinato a succedere a Michele Emiliano è Antonio Decaro, campione di preferenze nelle elezioni europee. L’accordo era chiaro: vai a Bruxelles, poi torni in Puglia. Ma Decaro sta cambiando idea, avendo subodorato che, anche in caso di vittoria, rischierebbe di finire nella morsa tra Emiliano e Nichi Vendola, entrambi intenzionati a candidarsi al consiglio regionale. Infine c’è la Campania, dove il Pd ancora non ha trovato un accordo con Vincenzo De Luca, deciso a vendere cara la pelle (ossia i voti che può spostare da una parte e dall’altra). Schlein vorrebbe cedere la regione ai Cinquestelle (cioè a Roberto Fico), in cambio dell’appoggio nelle Marche e in Toscana. Ma De Luca chiede una contropartita. Che, ancora, non c’è.

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