Cielo soleggiato, verso lo stadio Olimpico si muovono sciami di giovani per assistere a un concerto di un gruppo coreano di cui ignoro tutto, entro nel Palazzo della Farnesina, sono in orario (a Roma! Un miracolo sospetto), entro nella sala Guillet e attendo il ministro degli Esteri per il nostro pranzo, italiano e poco calorico. Sono le 13, Antonio Tajani è come sempre gentile, ha il dono della misura, essendo un giornalista di lungo corso ha il senso della notizia e quando vede correre più velocemente la mia penna stilografica sul taccuino, come un sismografo, coglie che la notizia è “il nuovo manifesto di Forza Italia” che è in fase di scrittura e verrà presentato in autunno. Il gruppo messo insieme da Tajani, coordinato da Andrea Orsini, è al lavoro, la famiglia Berlusconi è informata, Marina e Pier Silvio seguono la nuova Forza Italia 2.0, il vicepremier Tajani continua la sua fase di transizione e costruzione di un partito post berlusconiano nel segno dell’eredità del Cavaliere. Partiamo dal nuovo manifesto.
Ministro Tajani, a che punto siamo?
«A settembre presenteremo il nuovo manifesto della libertà, aggiornando quello del 1994. Siamo al lavoro, il nostro coordinamento è guidato da Andrea Orsini che era un po’ il ghost writer di Berlusconi. Lavoreremo sui testi di Paolo Del Debbio, ascolteremo le categorie economiche. Il manifesto della libertà, della libertà economica, serve a dare un’identità forte a Forza Italia e a differenziarla da Lega e Fratelli d’Italia. Più il centrodestra è plurale, più consensi attrae. Forza Italia deve prendere - oltre ai voti di chi crede in un’economia liberale, nella lotta alla pressione fiscale, nelle battaglie garantiste - anche i consensi di quei centristi delusi dal centrosinistra. È uno scontro tra Schlein, Fratoianni e Conte. Il centro del centrosinistra non esiste più. Perché gli elettori che facevano riferimento a quell’area non possono avere un punto di riferimento? Magari non amavano la destra, ma se il centrodestra rimane centro-destra, noi possiamo attrarre quei consensi e far crescere la coalizione».
Quando presenterete il manifesto?
«Credo che lo presenteremo all’evento di Telese , sarà la ripresa della nostra attività politica. Prima però ci sarà la festa del movimento giovanile, all'inizio di settembre».
Quindi il manifesto del ’94 diventerà il manifesto del 2026?
«Esatto, in vista delle elezioni del 2027. Vogliamo attirare l’attenzione di un mondo che vuole difendere la libertà».
Lo condividerà anche con la famiglia Berlusconi?
«Sì, con la famiglia abbiamo un ottimo rapporto, ne abbiamo già parlato. Io sono sempre pronto a cogliere i consigli di tutti. Molte ricostruzioni sono fantasiose... Per non dire altro».
Le piace di più fare il Ministro degli Esteri o il segretario di Forza Italia?
«Tutte e due le cose. Forza Italia e la mia storia istituzionale sono una cosa sola. Ho legato la mia carriera politica all’Europa e a tutto ciò che è l’Italia nel mondo. Forza Italia è una forza popolare europea, quello è il suo riferimento culturale. Che era anche quello di Berlusconi, no? Lui era un cristiano liberale, riformista, garantista, europeista e atlantista. Berlusconi era anche contrario al voto all’unanimità in sede europea. Nell’ultimo discorso che ha fatto prima di morire, ci ha detto di batterci per la difesa comune e per abolire il voto all’unanimità, cosa che oggi dice anche Tremonti».
Primo provvedimento per chiudere la legislatura?
«La riforma della giustizia».
Siamo al giro di boa.
«Ormai siamo arrivati, poi ci sarà il referendum. La giustizia è la madre di tutte le battaglie».
Ma si aspetta anche un provvedimento sul fisco?
«Sì, l’abbiamo detto. Con la manovra bisogna abbattere le tasse. La battaglia delle battaglie è quella sulla giustizia, poi c’è il fisco. Dobbiamo tagliare l’Irpef dal 35% al 33% e allargare la base fino a 60 mila euro. Poi bisogna guardare agli stipendi più bassi. Perché è vero che come governo siamo stati bravi ad aumentare il numero degli occupati, ma ora dobbiamo essere altrettanto bravi ad alzare gli stipendi a molti lavoratori che sono sotto la soglia di povertà pur essendo occupati. Cosa si può fare? Per esempio, io non credo al salario minimo, è una roba da Unione Sovietica. L’Italia è un Paese in cui c’è la contrattazione collettiva, i salari non si impongono per legge. Però lo Stato può detassare, cioè non far pagare quella parte di contributi sul lavoratore che prende fra i 7.30 euro e i 9 euro all’ora.
Già tagliando quella parte aumenterebbero gli stipendi più bassi. Poi si possono detassare straordinari, premi di produzione e festivi».
Capitolo Ius Scholae.
«Allora, noi abbiamo presentato una proposta di legge che si chiama Ius Italia per rendere il riconoscimento della cittadinanza italiana una cosa seria. La seconda parte, quella legata allo Ius Sanguinis, dice basta agli imbrogli che avvenivano in alcuni Paesi per concedere la cittadinanza. Questa è già stata fatta dal governo, è già diventata legge. L’altra parte, quella legata alla scuola, secondo me non è stata ben compresa da chi è contrario. Vuole rendere più seria la concessione della cittadinanza anche rispetto alla legge attuale. Oggi dopo 10 anni diventi cittadino italiano. Il Pd e la sinistra dicono: “Cinque anni di scuola e poi diventi italiano”.
Noi diciamo no: 10 anni di scuola con profitto, cioè a 17 anni puoi chiedere la cittadinanza dopo che conosci perfettamente l’italiano, la storia, la geografia e le leggi della Repubblica. Così li hai veramente integrati».
Ne ha parlato con Meloni?
«Io ne ho parlato con tutti, ma ne parlerò ancora in maniera più approfondita».
Sì, però il dibattito si è diciamo acceso all'interno del centrodestra quando c'è stato il referendum.
«Domanda: preferiscono i maranza o ragazzi che studiano?».
Ma i maranza vanno a scuola.
«Non con profitto».
Allora bisogna declinare la proposta in un altro modo.
«Noi diciamo 10 anni di scuola con profitto. Cioè vuol dire 10 anni di scuola in cui si è sempre stati promossi».
Quando conta di farlo?
«Non lo so, vedremo. Questa è la nostra proposta, poi ne parleremo con gli alleati. Non serve a scardinare il centrodestra, chiediamo solo di studiare bene ciò che proponiamo, che è completamente diverso da quello che dice il Pd. La nostra proposta significa integrare e far diventare italiani non soltanto nella forma, ma anche nella sostanza».
Il Presidente Mattarella è finito in una lista di nemici della Russia insieme a lei e al ministro Crosetto. Lei è un nemico di Mosca?
«Noi non siamo nemici della Russia, anzi. Difendiamo soltanto il diritto internazionale e il diritto all’indipendenza e alla libertà dell’Ucraina. Difendiamo il principio secondo cui chi è più forte non può decidere di aggredire e invadere un Paese soltanto perché è militarmente più debole».
Che ne pensa dei 12 giorni di ultimatum di Trump?
«Trump aveva delle attese diverse. Poi si è reso conto che Putin non si sarebbe comportato come si aspettava. Putin vuole andare avanti nella guerra perché spera di conquistare più terreno possibile prima di un eventuale accordo. Ma ha anche delle difficoltà interne: è difficile dire a un milione e mezzo di soldati che torneranno a guadagnare due o tre volte meno facendo gli operai. Così com’è difficile riconvertire le aziende che ora seguono un’economia di guerra».
Zelensky è l’uomo della pace o è il leader della guerra?
«Zelensky è una delle parti in causa, è l’aggredito. Non si può pensare di fare una trattativa senza di lui. Poi ci saranno le elezioni e gli ucraini decideranno da chi vorranno essere governati. Però adesso non si può cambiare».
Ieri c’è stata una riunione importante tra lei, Meloni, Salvini sull’accesso ai fondi Safe per la Difesa. Ci spiega in poche battute come funziona?
«Funziona che c’è un fondo europeo, con soldi che non sono regalati, ma sono prestati con termini molto vantaggiosi perché vanno restituiti entro quarant’anni. I primi 10 anni non si deve ridare nulla e si comincia dall’undicesimo. È come avere un mutuo trentennale che tu cominci a pagare dopo 10 anni. Bisogna prenotarsi, quindi la lettera è una sorta di “prenotazione”».
Sui dazi ho letto varie stime nel corso di queste settimane. Secondo me c’è troppo allarmismo. Condivide?
«Condivido che non bisogna creare allarmismo, anche se i dazi sono un fatto negativo. Il 15% però è sostenibile. È vero che il diavolo sta nei dettagli: il primo di agosto ci sarà un accordo generale, poi ci saranno mesi di trattative sui dettagli per ogni singolo prodotto. Per noi italiani è importante, per esempio, che i dazi al settore farmaceutico non vadano oltre il 15%. Adesso comincia una battaglia di trincea; questo è l’accordo quadro».
Certo, questo è l’accordo politico.
«Dico un’altra cosa. Le previsioni, per esempio che ha fatto Cassa Depositi e Prestiti nella riunione che abbiamo fatto, mostrano danni per 4 miliardi. Leggo 15, 20... Cifre un po’ allarmistiche. Molti prodotti italiani sono difficilmente sostituibili. E se negli Stati Uniti una persona comprava una bottiglia di vino pregiatissimo italiano a 100 dollari, continuerà a comprarla anche a 110».
Io penso che il vero problema sia la svalutazione del dollaro.
«Per me la Banca Centrale Europea, deve fare due cose (e un’altra la può fare l’Unione europea). La Banca centrale dovrebbe continuare a far scendere il costo del denaro, come fece col Covid. Si può anche arrivare a zero. E poi dovrebbe, vista la situazione, fare un quantitative easing, cioè comprare titoli di Stato dai vari Paesi, il cui ricavato potrà essere utilizzato per la difesa europea, per la politica industriale, per la sanità. Ed essendoci più denaro in circolazione si potrebbe far scendere il valore dell’euro. Una terza cosa che si potrebbe fare è una modifica temporanea di quello che si chiama SMI supporting factor, uno strumento che permette di concedere più agevolazioni e prestiti alle piccole e medie imprese. Funziona così: mentre per le grandi imprese, quando si eroga un prestito si ha una riserva molto ampia, per le piccole e medie imprese, per dare fiducia, la riserva è più piccola. Oggi è fino a 2 milioni e mezzo; con una procedura rapida si potrebbe arrivare a 5 milioni e allargare la base delle imprese».
Questo per facilitare investimenti naturalmente. Perché la vera la vera sfida non è avere i ristori.
«La sfida è la crescita. Devi avere una vera politica industriale, ridurre la pressione fiscale; dobbiamo avere il coraggio di fare una sorta di fronte comune alle difficoltà. Come dicono i cinesi, la parola “crisi” deve essere un’opportunità. Bisogna rilanciare con una politica industriale europea ed italiana, abbattere le tasse, far aumentare i consumi, anche interni. E poi naturalmente bisogna esplorare anche altri mercati. Libero ha messo bene in risalto i risultati che abbiamo avuto nei mercati extra Ue».
Erano molto buoni.
«Sono molto buoni. Il Made in Italy piace. Dobbiamo andare avanti: il governo ha un piano d’azione che abbiamo fatto con il Ministero degli Esteri per arrivare a 700 miliardi di euro da 623. Se la partita viene giocata in difesa rischiamo di perderla. L’Europa, e anche la Bce, devono aver il coraggio di giocare in attacco».
Lei è stato uno dei primi a sostenere il bis di Ursula von der Leyen.
«Io sono stato uno dei principali artefici del blocco della candidatura di Timmermans al posto di Ursula von der Leyen».
Non le fa un certo effetto vedere che oggi la Schlein attacca la von der Leyen sui dazi?
«Mi pare che la sinistra dicesse che bisognava far trattare l’Europa. Va benissimo far trattare l'Europa; noi siamo sempre stati europeisti. Loro, invece, mi pare che lo siano a seconda della polemica».
Ma potrebbe cambiare la maggioranza nell'Unione Europea, secondo lei?
«La vedo difficile, ma ci sono maggioranze variabili».
Sui temi...
«Dovrebbe anche cambiare l’atteggiamento di alcune forze del gruppo dei conservatori».
Gaza. C’è stata la lettera di 41 ex ambasciatori a Meloni dicendo che la linea del governo è sbagliata. Cosa risponde il ministro?
«Il governo ha sempre una linea molto seria. A parte che molti di questi, quando erano in servizio, non hanno detto una parola».
Singolare, no?
«Vabbè, lasciamo perdere. No comment. Noi siamo favorevoli al riconoscimento dello Stato palestinese. Però dev’esserci lo Stato palestinese per riconoscerlo».
E non può essere Hamas.
«Oggi la Palestina è divisa in due, Cisgiordania e Gaza. Quindi bisogna riunificare. I leader dell’Autorità nazionale palestinese ha ringraziato l’Italia per quello che ha fatto e che sta facendo. Al di là delle chiacchiere. Siamo il Paese che ha accolto il maggior numero di rifugiati da Gaza. Compreso il bambino che stiamo curando».
Di cui è stata pubblicata una foto in maniera strumentale.
«Esatto. Il bambino è in Italia, l’abbiamo accolto».
L’ha colpita quella storia della strumentalizzazione?
«Usare questa guerra per fini di politica interna è abominevole».
E la posizione di Conte a questo proposito? E anche di buona parte del Pd?
«Bussare soltanto per fare polemiche col governo è sbagliato. I palestinesi ci ringraziano per quello che facciamo, questa è la cosa che mi interessa di più. Penso a padre Ibrahim, uno dei sacerdoti che si occupa dei palestinesi a Gaza, che elogia sempre l’azione del governo. Se non avessimo avuto un buon rapporto con Israele, non saremmo mai riusciti a far usciti quei ragazzi, quei bambini che abbiamo accolto».
Com’è il rapporto con il governo israeliano?
«Noi siamo amici di Israele, ma gli diciamo la verità. Io l’ho detto in maniera molto chiara: basta con i bombardamenti, è inaccettabile quello che sta accadendo. Lo diciamo anche nell’interesse di Israele, per l’immagine di Israele nel mondo. Bisogna arrivare a un cessate il fuoco».
Non c’è il rischio di fare il gioco di Hamas?
«No. Abbiamo sempre detto che Hamas è un’organizzazione terroristica e deve stare fuori dal futuro Stato palestinese.
Ormai Israele ha vinto contro Hamas. Ma ha vinto anche contro Hezbollah, penso al Libano e all’Iran».
E perché allora la guerra non finisce?
«Non finisce perché Hamas continua ad alzare il prezzo. Hamas ha una grande responsabilità: si fa scudo con la popolazione civile, cercando di fomentare l’odio verso Israele. Ma Israele, indipendentemente da Hamas, non può non chiudere l’assedio. Non può non tenere conto di 2 milioni di persone che non hanno nulla a che vedere con Hamas. Continuando così si rischia di fare un regalo ai terroristi».
Che differenza c’è tra la nostra posizione e quella di Macron e Starmer?
«Il messaggio che diamo è molto simile, cioè basta bombardamenti. Loro dicono: “Se non smettete, noi riconosciamo allo Stato palestinese”».
Si sente sempre un giornalista?
«Assolutamente sì».
Che titolo darebbe a questa intervista?
«Viva la libertà».