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Ai compagni arrivano schiaffi da tutte le parti

Dopo Meloni e Trump resta solido anche il governo di Mieli. E i dem arrivano a dipingere "El loco" come un fenomeno da baraccone, ma i dati economici parlano da sé. L'Europa dovrebbe prendere appunti
di Daniele Capezzonemartedì 28 ottobre 2025
Ai compagni arrivano schiaffi da tutte le parti

4' di lettura

Poveri sinistri, è proprio un periodaccio, non gliene va bene una. Meloni qui, Trump lì, schiaffi da tutte le parti e a tutte le latitudini. Per riscattare almeno in parte queste amarezze autunnali, restava solo la grande speranza di Buenos Aires, con le elezioni legislative in Argentina: Milei non era uscito bene dal turno amministrativo di poche settimane fa, poi qualche inchiesta aveva lambito la sorella, e c’era un gran rullo di tamburi per celebrare l’inevitabile (pensavano) sconfitta dell’uomo della motosega. Era tutto pronto: «Svelato il bluff», «non poteva durare«, «smascherato l’illusionista», «turboliberismo archiviato». E avanti con pensosi commenti sulla «ricetta che non poteva funzionare». Più- compreso nel prezzo - qualche corteo della Cgil con annessa strillata di Landini. Purtroppo per loro, però, adesso si tratta di cestinare tutto questo materiale precotto.

Come Libero vi spiega oggi, il partito di Milei non ha solo vinto, ma ha stravinto: oltre il 40% dei voti e 15 sonanti punti di vantaggio sulla coalizione peronista-progressista. E adesso come si fa? Ci si può solo attaccare (no, non a quello che avete pensato voi, screanzati!) all’affluenza bassina e alla necessità di un minimo di trattativa con i partiti minori. Ma ognuno comprende che si tratta di dettagli. La verità (dolorosa per i compagni) è che l’avventura del presidente argentino appare addirittura sensazionale. Diciamolo onestamente: quasi nessuno avrebbe scommesso sulla sua prima vittoria. Ancora: quasi nessuno avrebbe scommesso sul fatto che un suo governo potesse durare e addirittura ottenere una conferma elettorale. E soprattutto quasi nessuno avrebbe scommesso sul possibile successo dei suoi programmi: e invece i dati economici dell’Argentina sono clamorosamente brillanti. A denti stretti – ma con numeri inequivocabili a suo favore – in tanti sono stati via via costretti a riconoscerglielo.

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Non c’è stato nessun “massacro sociale”, e anzi i fondamentali dell’economia argentina non sono mai stati così rassicuranti come oggi. Perfino l’Economist, che l’aveva accolto con scetticismo, ha dovuto celebrarlo alla fine del 2024. Del resto, le cifre e le tendenze parlano da sé: inflazione giù del 40%, povertà giù dal 52% al 35% circa della popolazione (altro che “darwinismo”), investimenti su. Roba da Nobel per l’Economia, magari insieme a quello per la Pace per Trump: roba da far scoppiare un po’ di fegati. Ma attenzione: quel che conta osservare – qui – è che per Milei la libertà non è solo una questione di dati economici, una faccenda legata all’andamento di una curva o di un indice, uno zero virgola in più o in meno nel tasso di inflazione o nel Pil di un trimestre.

La questione della libertà assume per lui una dimensione morale, vorrei direi spirituale. Ha a che fare con il rapporto tra stato e cittadino, tra macchina pubblica e sfera personale di ciascuno di noi: quanto della nostra vita e del nostro benessere possa essere messo a disposizione dello stato. Qui in Europa si farebbe bene ad ascoltarlo e studiarlo. Non (da una parte) a presentarlo come un fenomeno da baraccone o (dall’altra) come un tipo simpatico le cui ricette, però, non sarebbero mai applicabili qui. E perché mai? L’Argentina è forse, con la sua storia di statalismi assortiti, un luogo “facile” per una predica e una pratica di libertà? Certo, scherzando ma non troppo, viene da pensare che se un Milei si presentasse dalle parti di Bruxelles con la sua motosierra, il celebre PUS (partito unico statalista) potrebbe opporgli un numero infinito di obiezioni: i dentini della motosega non sono a norma “europea”, lui non risulta iscritto all’albo dei motoseghisti, e manca all’appello anche l’indispensabile corso regionale di aggiornamento.

Ma – facezie aparte – c’è molto da imparare dalla sua lezione: un teorico chiamato a passare alla pratica, e con successo! La realtà è che occorrerebbe credere di più alle idee, che sono una forza capace di muovere forze e coscienze. E magari – quanto alle forme – occorrerebbe riconoscere l’autentico colpo di genio di Milei: “vendere” il liberalismo classico con toni e linguaggio trumpiani. Milei ha capito che la dottrina liberista e libertaria non poteva essere presentata in termini aridi, accademici, professorali. Ma che serviva un grano di follia. Di più: occorreva “popolarizzare” quelle idee, e trasformarle nello sbocco positivo da offrire al vento anti-establishment che spira nelle nostre società. Questa magia gli è riuscita. Quanto invece ai contenuti, non dispiaccia a una personalità autorevole come Mario Draghi, ma il suo report europeo di qualche mese fa mi pare l’esempio del paradigma opposto a quello incarnato da Milei: a Buenos Aires si punta a far dimagrire la mano pubblica, mentre dalle nostri parti i “migliori” puntano a irrobustirla e a traslarla a livello europeo, nella direzione di un temibile super-stato. Siamo sempre lì, al fatal conceit, alla presunzione fatale dei pianificatori descritta tanto tempo fa da un gigante come Hayek.