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"La sinistra di oggi non è un'alternativa al governo Meloni"

di Elisa Calessimercoledì 12 novembre 2025
"La sinistra di oggi non è un'alternativa al governo Meloni"

4' di lettura

Ha cominciato a fare politica nella Dc, poi nel Ppi, quindi nella Margherita (di cui è stato assessore al Comune di Roma nella seconda giunta Veltroni) fino al Pd, di cui è stato socio fondatore e senatore fino al 2013. Lucio D’Ubaldo - oggi direttore di una testata online, il Domani d’Italia, che tiene vivo il nome di un giornale fondato da Romolo Murri, uno dei grandi padri della Dc- riassume nella sua stessa biografia quella tradizione democristiana che, dopo Tangentopoli, si è persa in mille rivoli, è sopravvissuta per un po’ nella Margherita, nel Pd, fino, oggi, a scomparire quasi del tutto.

Partiamo dal Pd: anche lei, come Paolo Gentiloni, augura “good luck” a chi pensa che esista già una alternativa a Giorgia Meloni?
«Sono d’accordo. Quella del centrosinistra attuale non è un’alternativa, tanto è vero che c’è un mondo che, non riconoscendosi, non vota».

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Ernesto Ruffini ha detto a questo giornale che non bisogna fare un nuovo partito di centro, né autonomo, né alleato del Pd, ma riprendere la bandiera dell’Ulivo.

Lei è d’accordo?
«Ho letto. Ruffini sbaglia perché nel momento in cui alza la bandiera del centrosinistra, esclude quelli che non si riconoscono in questo centrosinistra».

Alza la bandiera dell’Ulivo.
«Sì, ma ricordiamoci come è finito. Finisce perché si coglie la sua insufficienza, data dal fatto che non si riusciva a decidere in tempi adeguati. Per questo nasce l’esigenza di fare un partito: il Pd. Ma nasce male perché bisognava farlo crescere, magari attraverso una federazione, invece si è voluto accelerare. Dire “torniamo all’Ulivo”, dimenticando come si è esaurito, diventa una proposta romantica, non politica».

È un modo per dire: bisogna mobilitare i cittadini lontani dai partiti.
«L’Ulivo nasce perché c’è una sinistra post-comunista che, con D’Alema, sceglie di allearsi con il Ppi. Il quale aveva le sue difficoltà, ma confermava una tradizione nobile, quella dei democratici cristiani. Poi la proposta si allarga, individua un personaggio autorevole come Prodi, che mobilita oltre i partiti. Poi, però, l’Ulivo si rivela insufficiente. La proposta di Ruffini su cosa si regge? Se non è un partito, cos’è?».

La convince di più l’operazione di Matteo Renzi o Alessandro Onorato? La quarta gamba centrista...
«No. Il problema è che tutte queste operazioni sono dentro il centrosinistra».

Ruffini rifiuta il campo largo, parla di “campo aperto”.
«Ma è un gioco lessicale. L’ambiente è quello. Ma se resti lì, non attrai l’elettorato che non si riconosce nel centrosinistra. Mi spiego: in tutto il modo c’è una spinta alla radicalizzazione, a destra come a sinistra, e c’è una spinta che mira a contrastarla. Ci vogliono forze che abbiano quest’ultima consapevolezza. Non penso al centro come ai caschi blu dell’Onu, ma a una forza di contrasto politico, che però abbia una radice culturale, una identità. Quella del popolarismo cattolico».

La Casa Riformista di Renzi non può rappresentare quel mondo?
«Quella è una protesi del Pd. Non può intercettare l’elettorato a cui mi riferisco. Sarebbe una gamba che si aggiunge al blocco Pd-M5S, quindi ininfluente. Il problema di fondo è: questa alleanza su cosa si fonda? Quando parliamo di Europa quali sono i punti in comune del campo largo? Il Pd nacque dicendo: “Basta con Bertinotti, serve una grande forza riformista che sappia contenere i radicalismi”. Qui si fa l’esatto contrario: una coalizione spostata su un’asse più radicale e che ha perso completamente lo spirito riformista. Su questo Ruffini ha ragione: non è più il Pd. Ma devi andare fino in fondo e ammettere che non lo puoi correggere dal di dentro. Seno, non sei credibile».

E quindi?
«Deve esserci una forza politica di centro che metta in luce che, sia a destra sia a sinistra, ci sono spinte radicali che devono essere contrastate».

Lo sta facendo Calenda, no?
«Gli va dato atto che ha una posizione coraggiosa. Ma finché rimane dentro un involucro solo liberale, non può superare l’asticella del 3-4%. Ci vuole una spinta più ampia, che abbia dentro di sé anche la radice del movimento cattolico cristiano».

Cosa pensa di Silvia Salis?
«Siamo sempre lì: se diventa espressione dell’asse Pd-M5S, non cambia nulla... Il problema non è trovare un volto nuovo che ringiovanisca la proposta, ma fare un vero centro-sinistra. La Casa o tenda riformista non mi convince perché sono progetti che stanno dentro quel perimetro Ma io non credo che Salis possa essere la candidata premier».

Perché?
«Se salta Schlein, c’è Conte».

Lei pensa che nel Pd vogliono far saltare Schlein come candidata premier?
«È chiaro che molti di loro pensano a Silvia Salis. Vogliono trovare una soluzione diversa per la premiership, perché si sono convinti che Schlein non funziona.
Poi però è arrivato Goffredo Bettini che ha fatto un'operazione molto più sofisticata».

Cioè?
«Ha messo in prima linea Onorato, ma per consentire a Conte di andare da lui e far vedere che è in grado di dialogare con quelli che si presume possano essere i moderati. E tutto questo a prescindere dal Pd, anzi contro il Pd. È come dire: vediamo se va Schlein, ma se non va, conviene strutturare meglio Conte».

Farlo diventare moderato...
«Infatti in questi giorni ha detto no alla patrimoniale, insiste sulla sicurezza. Conte cerca il modo di aggirare il Pd. E in questo incontra qualcuno del Pd, come Bettini».

Salis rischia di rimanere con il cerino in mano.
«Mi sembra più debole rispetto a questa operazione. A maggior ragione, noi ci teniamo fuori. Fateci capire dove volete andare. Perché l’Italia ha bisogno di una convergenza tra forze democratiche, ma con dentro una forza cattolico-democratica. Perché Meloni, nonostante le difficoltà, è al 30%? Perché è identificata come il punto di tenuta. Per molti elettori non è nemmeno più la destra, la tenuta del sistema».

Insomma, cosa bisogna fare?
«Serve la ripresa di una soggettività che abbia a che vedere con il cattolicesimo popolare. Non per rimettere in gioco una classe politica, io ormai sono fuori, ma per dare rappresentanza a chi non ce l’ha».

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