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Prodi critica la Schlein e il Pd modello Mamdani

di Pietro Senaldisabato 15 novembre 2025
Prodi critica la Schlein e il Pd modello Mamdani

4' di lettura

Da mortadella a minestrone, Romano Prodi ribolle. Con cadenza settimanale, come la messa, il gran cattolico del centrosinistra fa la predica alla sua chiesa. E da buon ciclista, l’ex premier sembra fare il verso al Gino Bartali di “è tutto sbagliato, è tutto da rifare”.

È ossessionato da due donne, e non si capisce chi le piaccia di meno. La prima è Giorgia Meloni, «che non ha realizzato nulla e la cui unica forza è la durata per mancanza di alternativa»; e fin qui da lui che del centrodestra non ha mai apprezzato nulla, neppure di quello democristiano, ce lo si aspetta. La seconda è Elly Schlein «perché servono leader credibili e il modello non può essere il sindaco di New York, Zohran Mandami e perché la deriva estremista della sinistra» che la segretaria impone «allontana gli elettori, offrendo una lettura troppo ristretta della società». E poi, occhio alla patrimoniale, «perché solo parlarne veicola un messaggio di oppressione fiscale» e a Giuseppe Conte, «che può essere il Fausto Bertinotti di un eventuale premier di sinistra e il cui ruolo non è ancora definito».

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In soldoni, Romano non ritiene Elly all’altezza di Palazzo Chigi; per la verità non la ritiene neppure in grado di arrivarci e non ne fa mistero. A questo punto però è necessario infilare una serie di notizie. La prima è positiva per la segretaria: Prodi non tira le fila di nessuno complotto, non è vero che ce l’ha con lei perché la ritiene una figlioccia traditrice o perché non lo ha candidato alle Europee. C’è chi pensa che tiri la volata ad Antonio Decaro, l’europarlamentare candidato alla Regione Puglia che tra dieci giorni potrebbe essere per la seconda volta in un anno mister preferenze, ma in realtà chi gli è più vicino e ci parla ogni settimana assicura che non ha in mente un nome. E qui iniziano le notizie meno favorevoli per Elly.

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Prodi non ha in testa nessuno di preciso da candidare a Palazzo Chigi, ma è persuaso che anche un salto nel buio sia meglio dell’attuale segretaria, perché con lei non si può vincere. Da qui alle cattive nuove, il passo è breve. Sono sempre di meno quelli convinti che l’attuale cecchinaggio amico a cui è sottoposta quotidianamente Schlein punti solo a farle capire che non può essere lei l’alternativa a Meloni. È partito troppo presto, per essere così.

L’obiettivo vero, anche se difficile da raggiungere, sarebbe sfilarle la segreteria, in modo che non sia lei a fare le liste. Al progetto sarebbe funzionale una sconfitta della linea pro-magistrati al referendum sulla separazione delle carriere, ma Elly ha mangiato la foglia e non farà una campagna elettorale pro-toghe all’arma bianca.

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Modererà i toni. In ogni caso, la narrazione anti-segretaria è partita; per l’esattezza un mese fa a Milano, dove sotto la regia di Giorgio Gori e Lorenzo Guerini si è svolta la riunione dei progressisti moderati, i cosiddetti riformisti, conclusasi con la requisitoria di Pina Picierno, una che non ci sta a farsi sfilare il Pd dalla sinistra massimalista. Sarebbe bastato convocare 250 persone in una sala per svelare che la regina è seminuda. L’accusa è che la spinta innovativa impressa dalla segretaria sarebbe sempre più debole: in un anno dalle Europee, si sarebbe dimezzata e oggi Schlein porterebbe in dote solo un modesto 2% in più del disastroso Enrico Letta delle Politiche 2022.
Infine c’è la notizia peggiore di tutte. A pensarla come Prodi non sono solo il vecchio professore e un manipolo di nostalgici, e neppure sono i progressisti orfani di Matteo Renzi e che si sentono traditi da Stefano Bonaccini. Perfino molti dei prossimi fondatori del nuovo correntone pro-Schlein che si formerà a Montepulciano l’ultimo fine settimana di novembre e che l’ex premier definisce impietosamente, senza individuarli specificatamente, come quei «molti che vogliono semplicemente conservare il proprio ruolo» sono persuasi che la segretaria sia un cavallo perdente per tutti.

E allora che fare? Dipenderà dalla legge elettorale, è la risposta di rito, ma non è vero: se e quando arriverà, sarà troppo tardi per un cambio. Bisogna agire prima, perché la partita più importante poi non è andare al governo, visto che anche a sinistra sono tutti persuasi che, anche qualora si vincesse, non si durerebbe, e questo anche se Giuseppe Conte è il più pragmatico dei politici, e non staccherebbe certo la spina il giorno dopo, come fece Niki Vendola all’Unione di Prodi nel 2006 o Fausto Bertinotti, all’Ulivo, nel 1998, rinunciando perfino alla presidenza della Camera. Il prossimo Parlamento elegge il nuovo capo dello Stato e far scegliere la squadra a Elly non piace ai dem e neppure a Prodi, anche se l’avventura dell’attuale segretaria iniziò proprio quando 101 grandi elettori del Pd pugnalarono Romano sulla via del Quirinale. Allora nacque Occupy Pd, contro le correnti e i personalismi deleteri. Adesso che Schlein è accusata di una gestione troppo personalistica, è arrivata l’ora di sgomberare.