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Elly vede Prodi ma tira dritto. E Ruffini vuole potare i cespugli

Dopo le critiche interne, la segretaria incontra il Professore a Bologna. Mentre l'ex direttore delle Entrate gela gli altri centristi
di Elisa Calessilunedì 17 novembre 2025
Elly vede Prodi ma tira dritto. E Ruffini vuole potare i cespugli

3' di lettura

Lo ha ascoltato. Si sono incontrati sabato, a Bologna, città che per entrambi è casa (per Elly Schlein lo è stata a lungo e qui ha iniziato a fare politica, per Romano Prodi letteralmente). Lo ha ascoltato, come è giusto ascoltare i padri nobili del Pd e Prodi in particolare, essendo l’ultimo premier del centrosinistra uscito vincente dalle urne. Ma Schlein, nonostante le ormai periodiche critiche, osservazioni, frecciate della generazione dei “padri”, va avanti per la sua strada, convinta sia quella giusta. Le critiche al fatto che il centrosinistra non è ancora percepito come un’alternativa, al fatto che non appare come una squadra coesa, cui manca un programma, una proposta per il Paese, un tavolo in cui sedersi e discuterne, le sente ingiuste e, come dire, di un altro tempo, anche se non replica e non replicherà mai (per fedeltà a quel «testardamente unitari» che è diventato il suo marchio di fabbrica). Ingiuste perché, come spiega chi la sostiene e ha vissuto la stagione dell’Ulivo e vive ora questa, «non ci si ricorda che se Prodi fece quello che fece è perché ci fu un partito, il Pds e poi i Ds, che generosamente glielo permise, facendo la guerra a un partito, il Ppi, che non lo voleva».

Quanto al programma, fosse per Schlein convocherebbe la riunione anche domani. Il problema, si dice, è che Giuseppe Conte non vuole. E non vuole perché pensa che, per far crescere il M5S, convenga tenere una distanza di sicurezza dal Pd il più a lungo possibile. Almeno fino a ridosso delle Politiche. Del resto, nemmeno al Pd converrebbe un M5S che crolla a percentuali ancora più modeste. Per questo si sopporta. E come si fa a organizzare riunioni sul programma se il leader del secondo partito dell’alleanza per ora non vuole? La verità, si dice tra i sostenitori della prima ora di Schlein, è che il Professore appartiene a un’altra epoca, a un mondo in cui i partiti erano molto più forti - partiti che, peraltro, ora non ci sono più - a una stagione in cui si ragionava secondo schemi che ora non esistono più. Insomma, non si può replicare il modello dell’Ulivo o dell’Unione. Sempre che quel modello, si aggiunge, sia da replicare. Perché quelli, nel Pd, che hanno memoria lunga hanno molto da obiettare rispetto all’idealizzazione di quella stagione. «Sia i governi dell’Ulivo sia quelli dell’Unione sono finiti prima della fine della legislatura», si ricorda.

Questo, però, è stato anche il week-end di Ernesto Ruffini. L’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, animatore dei comitati Più Uno, ha riunito tutti i responsabili dei 300 comitati nati in questi mesi a Roma, all’Eur, per un evento che ha riscosso una partecipazione superiore al previsto. C’erano le Acli al completo, ex dirigenti storici della Margherita, come Renzo Lusetti, c’era Bruno Tabacci, centrista, da tempo nel centrosinistra. Ruffini ha dato appuntamento a primavera per capire come muoversi. Cosa diventare. Ha, però, messo in chiaro quello che non vuole essere: non intende unirsi agli altri progetti centristi, in particolare a quelli a cui stanno lavorando l’assessore del Comune di Roma Alessandro Onorato (ieri era in Veneto), Matteo Renzi e chi, dal Pd (come Goffredo Bettini), spinge perché si provi a fare una quarta gamba moderata o riformista.

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L’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate è convinto che queste operazioni scontino un “servilismo” nei confronti del Pd, che siano ispirate dal Pd e che, per questo, siano destinate al fallimento. Il suo progetto, come ha spiegato anche a questo giornale, è, piuttosto, ripercorrere le orme dell’Ulivo, mobilitare una partecipazione dal basso, motivare chi ha deciso di non votare più, ma in competizione con il Pd, anche se dalla parte del centrosinistra. Il traguardo sono le primarie di coalizione.
La competizione per Palazzo Chigi. Un progetto che, però, sconta due incognite. La prima è che non si sa ancora se si faranno le primarie di coalizione. Dipende dalla legge elettorale (se sarà cambiata e, nel caso, se sarà introdotto l’obbligo di indicare il candidato premier) e dalla disponibilità dei leader dei principali partiti del centrosinistra ad accettare questo metodo (per ora Conte non ha detto con chiarezza se è d’accordo a fare le primarie o no, non le ha escluse, ma nemmeno avallate). La seconda incognita è cosa ne sarà di un campo, quello del centro del centrosinistra, dove continuano a spuntare cespugli, ma senza alcuna spinta a unirsi. Se non compare un federatore del centro, complicato che poi dal centro qualcuno possa aspirare a federare tutto il centrosinistra.