A 100 anni dalla nascita e a meno di 2 e mezzo dalla morte ricordo di Arnaldo Forlani il giorno in cui nacque la nostra amicizia. Una mattina alla Camera, al suo secondo anno del primo mandato di segretario della Dc, conferitogli dal Consiglio Nazionale nel 1969 come delfino di Amintore Fanfani. Avevo appena scritto di lui sul Momento sera di Roma che aveva certamente Fanfani nel cuore ma nella testa Aldo Moro, l'altro “cavallo di razza “della Dc, come li chiamava entrambi Carlo Donat-Cattin imponendoli alla letteratura dello scudo crociato. Quel cuore con Fanfani e la testa con Moro gli era piaciuto. Sornione, Arnaldo mi disse: «Mi hai smembrato». Da allora non smettiamo di frequentarci, di stimarci, di volerci bene.
Al contrario di Forlani, non gradì per niente Fanfani, che mi invitò a colazione di prima mattina nel suo appartamento di Presidente del Senato a Palazzo Giustiniani per dirmi che Forlani sì aveva “qualcosa” di Moro in testa ma doveva togliersi proprio da quella testa l'idea di poter essere un intermediario, perché con Moro lui avrebbe potuto accordarsi direttamente quando lo avesse ritenuto opportuno. E così avvenne un paio d'anni dopo, proprio a Palazzo Giustiniani, in un incontro fra i capi di tutte le correnti della Dc, promosso con una certa disinvoltura istituzionale, in cui venne decisa la conclusione di un congresso nazionale del partito che si sarebbe aperto due giorni dopo all'Eur.
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Giuseppe Conte si è affrettato a festeggiare la vittoria del “suo” Roberto Fico, il Sandokan della Ca...L'accordo stabiliva il ritorno di Fanfani alla segreteria della Dc, al posto di Forlani destinato ad una Quaresima di qualche anno, e la sostituzione di Giulio Andreotti a Palazzo Chigi, in un governo centrista che Forlani preferiva chiamare “della centralità”, con Mariano Rumor per un ritorno al centro-sinistra. A Moro fu destinata la presidenza della Camera, che però il socialista Sandro Pertini si rifiutò di liberare con le dimissioni chiestegli personalmente dal segretario del Psi Francesco De Martino in cambio di un laticlavio alla morte del primo senatore a vita di nomina quirinalizia. Pertini, scusandosi poi privatamente con Moro temendo che potesse considerarla una domanda personale, cacciò via dal suo ufficio di Montecitorio il compagno di partito e scese alla buvette per augurare «lunga vita ai senatori a vita», chiacchierando con i giornalisti. E Forlani?, mi chiedi.
Ubbidì al suo modo. Per niente sorpreso da Fanfani - al quale aveva peraltro procurato il dispiacere, la delusione, chiamatela come volete, di sostenere alla fine del 1971, per quanto inutilmente, l'elezione di Moro a presidente della Repubblica dopo l'esaurimento, a volere essere generosi, della candidatura dello stesso Fanfani - Arnaldo chiude il congresso democristiano con una disamina della figura del Diavolo. Che - ricordò a un Fanfani impietrito alla presidenza del congresso - «è colui che si trasforma». Ma con Fanfani l'ormai ex segretario della Dc, al momento ministro degli Esteri dei governi monocolori democristiani presieduti da Andreotti col sostegno esterno dei comunisti, si sarebbe ritrovato durante il sequestro proprio di Aldo Moro, nel 1978, per cercare di salvargli la vita.
Alle brigate rosse che volevano scambiare l'ostaggio con più di tredici “prigionieri”, come chiamavano imputati e condannati di reati di terrorismo, volendo con ciò ottenere il riconoscimento di controparte, Forlani si prodigò perché arrivasse un appello del segretario generale dell'Onu. Ma agli aguzzini di Moro, e sterminatori della sua scorta, delle Nazioni Unite non importava un fico secco, pur imbottendo i loro documenti di richiami a un fantomatico Stato imperialista mondiale da abbattere. Moro fu ucciso la mattina del giorno in cui Fanfani aveva deciso, e fatto sapere, che avrebbe annunciato in una riunione della direzione del partito la disponibilità ad una iniziativa autonoma dell'allora Capo dello Stato Giovanni Leone per la grazia ad uno, anzi una dei tredici “prigionieri” reclamati dai terroristi.




