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Bernie Ecclestone se ne lava le mani: "Jules Bianchi è stato solo sfortunato"

Francesco Rigoni
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"Unfortunate". Per Bernie Ecclestone, il supremo della F1 come ama farsi chiamare, l'incidente che nel Gp del Giappone sotto il tifone Phanfone ha spedito in coma con seri danni cerebrali Jules Bianchi, il giovane pilota della Marussia, è stato solo questione di sfortuna. Di condizioni atmosferiche imprevedibili. "Se avessimo saputo che un tifone del genere si stava per abbattere sul tracciato - ha dichiarato Ecclestone - forse le cose avrebbero potuto andare diversamente. Ma io non lo sapevo, nessuno lo poteva prevedere e nessuno potrà farlo in futuro. Può anche darsi che un fenomeno del genere non si ripeterà più da quelle parti. Chi può dirlo? E comunque la F1 è abituata da sempre a correre sotto la pioggia". Direzione di gara sotto indagine - Sano pragmatismo da uomo di pista o consumato cinismo da ultra ottuagenario boss poco abituato a rendere conto a qualcuno? Forse entrambe le cose. Le decisioni della direzione di gara del Gp sono sotto indagine da parte della Fia, gli interrogativi non riguardano solo l'opportunità di interrompere prima la gara ma anche la correttezza dei soccorsi, con quella gru messa a bordo pista in un punto pericolosissimo e le bandiere verdi sventolate troppo in fretta. Proprio come avvenne dopo la morte di Senna, la F1 si sta interrogando sul futuro e pensa alla possibilità di dotare le monoposto di un cupolino di protezione. Per Ecclestone l'unico colpevole rimane la fatalità. Tanto che ha chiesto che accanto all'indagine della Fia ne venga avviata una indipendente. "Le macchine più sicure del mondo" - "Per la sicurezza abbiamo fatto molto in questi anni - sostiene il manager inglese -, oggi vediamo piloti che hanno un incidente, si slacciano le cinture e saltano fuori dall'abitacolo come se niente fosse. Se dovessi avere un incidente, vorrei averlo a bordo di una Formula 1: sono le macchine più sicure del mondo". Ma guai a confondere l'inevitabile rischio collegato alle corse - motor sport is dangerous, ripetono fino alla noia gli anglosassoni - con la necessità di indagare comunque la responsabilità e di spostare sempre più avanti la frontiera della sicurezza. Il fatalismo, specie quando riguarda gli altri, non è mai la politica giusta.

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