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Infezione da ‘Clostridium difficile'L'Europa spinge per più attenzione

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Maria Rita Montebelli
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Serve un intervento urgente e coordinato per migliorare i livelli diagnostici, terapeutici, di controllo e sorveglianza dell'infezione da Clostridium Difficile (CDI) in tutta Europa. L'appello viene dagli esperti e dai membri del Parlamento Europeo riuniti a Bruxelles da CDI Europe – un'iniziativa supportata da Astellas Pharma con l'obiettivo di promuovere un miglioramento degli standard di cura dei pazienti affetti da questa che è la patologia diarroica acquisita più di frequente in ospedale – dalla European Hospital and Healthcare Federation (HOPE) e dalla parlamentare europea Karin Kadenbach. Ma cos'è questo Clostridium? Si tratta di un batterio che è un normale componente della flora saprofita intestinale; può essere isolato nell'80% delle feci di bambini e neonati, e nel 3% delle feci di adulti sani. Neonati e bambini sono portatori asintomatici di CD, e il germe è presente anche nell'apparato gastrointestinale (e quindi nelle feci) di molti animali domestici (cani, gatti) e di numerosi altri animali (cavalli, maiali, roditori), oltre che nell'ambiente (suolo, acqua). Recentemente, sono state indagate altre possibili fonti di contaminazione, quali gli alimenti ma, ad oggi, non esiste un metodo standard che permetta la ricerca di questo germe nei cibi che consumiamo quotidianamente. Il problema è che quando un paziente in ospedale prende questa infezione resta mediamente ricoverato da 1 a 3 settimane più degli altri e aumenta la spesa di oltre 14 mila euro. Tanto per fare un esempio le ultime stime dicono che le infezioni da CD in Europa ‘costino' circa 5 miliardi di euro. Lo studio EUCLID. E' proprio di questi giorni la pubblicazione su 'The Lancet Infectious Diseases' dei risultati dell'EUCLID, uno studio biennale prospettico multicentrico europeo sulla prevalenza dell'infezione da CD tra i pazienti con diarrea ricoverati in ospedale. Si tratta dello studio più ampio mai realizzato in Europa: i dati sono stati raccolti in 482 ospedali di 20 paesi del continente, e stimano all'incirca 40mila casi di CDI non diagnosticati ogni anno. E considerando che in Europa ci sono circa 8mila nosocomi il numero di pazienti non diagnosticati è calcolabile in un numero superiore ai 6-700mila casi per anno. Lo studio ha ‘fotografato' cosa è accaduto in due singole giornate negli ospedali europei che hanno aderito all'iniziativa: in media, in queste giornate ‘campione', per ogni nosocomio 74 pazienti con CDI non sono stati sottoposti al test e altri 34 ha ricevuto una diagnosi falso-negativa di CDI. "La vera differenza nelle percentuali tra i diversi paesi – sottolinea il professor Franz Allerberger dell'Austrian Agency for Health and Food Satefy – dipende in gran parte dalla mancanza di 'sospetto clinico' e da una quantità ‘sotto ottimale' di test". "Obiettivo del meeting - sottolinea il professor Mark Wilcox, microbiologo medico del Leeds Teaching Hospitals & University di Leeds (UK) - quello di agire immediatamente per standardizzare la diagnosi e le procedure organizzative per la CDI in tutta Europa". Non solo ombre, per fortuna: i dati dello studio mostrano comunque che dal periodo 2011-12 a quello 2012-13 il numero di laboratori che si sono attrezzati con metodi mirati alla diagnosi di CDI è passato dal 32,5% al 48%, con un incremento in un anno quasi del 48%. Le prossime mosse. Per contrastare l'incidenza delle infezioni ospedaliere la Commissione Europea, con le sue ‘Risoluzioni' e ‘Raccomandazioni', tenta di spingere i paesi membri ad uniformare l'approccio al tema (ancora troppo differente da paese a paese) considerando che grandi progressi sono stati fatti negli ultimi anni, ma che "la crisi economica sta rallentando questo processo - sottolinea l'europarlamentare Karin Kadenbach - che oggi sembra essere uscito dalla priorità della politica". Cosa che alla lunga provocherà un aumento della spesa sanitaria: ecco perché servono specialisti per affrontare le infezioni ospedaliere (HAIs) che rendano standardizzato l'approccio al problema e non un intervento 'spot' di fronte ai casi più eclatanti. "E proprio alla sorveglianza della CDI sarà improntata una specifica attività del Parlamento Europeo nel 2015" ha confermato Herta Adam della Commissione Europea. Il ruolo dei pazienti. "Anche i pazienti - sottolinea Cristina Padeanu, Project officer dello European Patient's Forum - svolgono un ruolo fondamentale: sia come 'spinta' ad affrontare il problema, sia come strumento attivo e passivo dell'informazione indispensabile per il management della CDI". Non solo: i pazienti possono giocare un ruolo fondamentale nel report volontario dell'incidenza reale della loro sicurezza. Insomma, un ruolo importante di spinta nell'assistenza sanitaria, una nuova veste di partner attivo e non di soggetto passivo della cura. Perché la sicurezza è un elemento chiave della qualità dell'assistenza, e il contributo del paziente può e deve diventare fondamentale. (ANDREA SERMONTI)

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