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Biosimilari, vantaggi economici? “Si, ma con risparmi sovrastimati”

Intervista al professor Federico Spandonaro dell'Università di Roma Tor Vergata – CREA Sanità, sulla quantificazione reale dei vantaggi per il Servizio Sanitario Nazionale derivanti dall'utilizzo dei farmaci biosimilari

Maria Rita Montebelli
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Si coltivano grandi aspettative relativamente all'opportunità di risparmio e razionalizzazione dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale che potrebbe derivare da un diffuso utilizzo dei farmaci biosimilari: quali sono i vantaggi economici dell'alternativa biosimilare? I vantaggi dell'alternativa biosimilare sono quelli di creare condizioni di competizione economica e quest'ultima notoriamente implica riduzione dei prezzi e quindi risparmi finanziari oppure incremento delle persone in terapia. La dimensione dei risparmi finanziari dipende da molti fattori: in particolare dalle dimensioni del mercato dei farmaci biologici, quindi dalla riduzione di prezzo che si realizzerà. Entrambi i fattori sono di difficile stima: a breve il mercato non è particolarmente ampio; nel medio termine Assogenerici stima arrivi a 1,5 miliardi di euro; ma questo dato risulterà probabilmente sovrastimato, in quanto i pazienti nel frattempo si sposteranno verso nuovi farmaci innovativi in arrivo sul mercato, una parte del risparmio si tramuterà in maggiore utilizzo e, infine, non necessariamente per tutti i biologici sarà sviluppato un biosimilare. Anche sul versante dei prezzi è impossibile fare già oggi previsioni, ma certamente la complessità produttiva dei biosimilari e i requisiti (studi clinici, etc.) loro richiesti per accedere al mercato, fanno pensare che non si potrà avere una riduzione comparabile a quella dei farmaci equivalenti.   Quali sono i meccanismi e gli interventi che potrebbero garantire la disponibilità di entrambe le opzioni terapeutiche, farmaco biologico e farmaco biosimilare, in relazione alla tipologia di pazienti da trattare e alle risorse finanziarie disponibili? Credo che la questione vada ribaltata. Condizione di competizione economica vuol dire che alla fine del periodo di monopolio garantito dal brevetto (ricordiamolo: necessario per permettere alle aziende di rientrare degli investimenti fatti), ci siano più prodotti considerabili potenziali sostituti in concorrenza fra loro, non che si crei un nuovo monopolio “al contrario”. Dal punto di vista della società è fondamentale che si mantengano condizioni di competizione, e quindi la “norma” è la coesistenza delle opzioni, non viceversa: se dovesse avvenire, questo sancirebbe un fallimento del mercato, non un vantaggio per la società.   L'ingresso dei biosimilari può generare consistenti risparmi nell'immediato in R&S, per l'evidente contrazione del ritorno sull'investimento effettuato per le aziende produttrici di farmaci originator? Non credo che questo possa verificarsi, ciò che è importante è il rispetto del ciclo naturale del prodotto; il farmaco nasce come innovazione e come tale va protetta e pagata in base al valore generato; alla fine del periodo di protezione, quando i prodotti sono ormai ‘maturi', è invece efficiente che scatti la competizione e quindi la riduzione di prezzo. Le risorse che eventualmente si liberano dovrebbero, però, diventare una opportunità per sostenere l'accesso al mercato delle nuove innovazioni: in altri termini, il rapporto fra farmaco patented (brevettato) e non-patented (preferisco questa dizione a originator vs biosimilare) in un contesto “normale” dovrebbe essere assolutamente simbiotico. (STEFANO SERMONTI)

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