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Caplacizumab è efficace nel paziente che ha Attp

Lo studio Hercules ha dimostrato che caplacizumab registra un tempo significativamente più rapido di risposta alla conta piastrinica nei pazienti con porpora trombotica trombocitopenica (Attp) e riduce i tassi di mortalità e recidive

Maria Rita Montebelli
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Una rara patologia della coagulazione - la porpora trombotica trombocitopenica acquisita (Attp) -  potrebbe da oggi essere combattuta in modo più efficace. Lo studio di fase 3 Hercules ha infatti registrato risultati positivi sul trattamento con caplacizumab in aggiunta all'attuale standard di cura, che consiste in immunosoppressione in plasmaferesi quotidiana, un procedura che comporta un prelievo di sangue, la centrifuga del suddetto sangue per separare la parte liquida (plasma) dalla componente corpuscolata (globuli rossi, bianche e piastrine), quindi l'asportazione del plasma e la restituzione delle restanti componenti del sangue insieme a una nuova parte liquida. I risultati sono pubblicati sul New England journal of medicine. La Attp. Si tratta di una patologia autoimmune della coagulazione del sangue che in molti casi ha esito fatale. È caratterizzata dall'estesa formazione di coaguli in piccoli vasi sanguigni in tutto il corpo che porta a trombocitopenia grave – ovvero conta piastrinica molto bassa -  anemia emolitica microangiopatica - perdita di globuli rossi dovuta a distruzione -  ischemia  -  limitato apporto di sangue ai tessuti -  e danni diffusi agli organi, specialmente al cervello e al cuore. L'attuale trattamento consiste nello scambio plasmatico quotidiano, metodica in cui il plasma del paziente viene rimosso e sostituito con il plasma del donatore assieme a immunosoppressione. Con i trattamenti attualmente disponibili i pazienti continuano a essere a rischio di sviluppare eventi vascolari come ictus e infarto, nonché di vedere recidivare la loro malattia. "L'Attp è una malattia pericolosa per la vita e le attuali opzioni di trattamento non fermano completamente l'estesa formazione di coaguli nei piccoli vasi sanguigni diffusi in tutto il corpo, lasciando i pazienti a rischio di morbilità significativa e morte precoce - ha dichiarato Marie Scully, professoressa di ematologia presso lo University college London hospitals e autore principale dello studio Hercules - I risultati dello studio dimostrano che caplacizumab potenzialmente può rappresentare la risposta a una esigenza medica insoddisfatta importante e aiutare chi deve affrontare le conseguenze potenzialmente devastanti di questo disturbo della coagulazione". Lo studio Hercules. Caplacizumab ha dimostrato di ridurre significativamente il tempo di normalizzazione della conta piastrinica. Vale a dire che i pazienti trattati con caplacizumab sono risultati essere maggiormente predisposti al raggiungimento di una conta piastrinica normale rispetto ai pazienti trattati con placebo. Il trattamento con caplacizumab si è inoltre dimostrato associato a una riduzione della morte per Attp, di recidiva o di almeno un evento tromboembolico maggiore rispetto al trattamento con placebo. Dato importante dal punto di vista della qualità della vita, i risultati hanno mostrato una riduzione clinicamente significativa dell'uso dello scambio plasmatico in pazienti terapia intensiva e in ospedale. Allo studio Hercules hanno preso parte anche alcuni centri italiani che hanno arruolato un totale di 10 pazienti: Fondazione Ca' Granda Ospedale maggiore di Milano; Policlinico Agostino Gemelli, Università Cattolica Sacro Cuore di Roma; Vittorio Emanuele-Ferrarotto-Santo Bambino di Catania; Ospedale San Salvatore-Muraglia di Pesaro; Ospedale San Bortolo di Vicenza. Flora Peyvandi, direttrice del Centro emofilia e trombosi della Fondazione Ca' Granda, nel suo ruolo di coordinatrice dello studio in Italia, ha così commentato: “Questo farmaco rappresenta il primo trattamento specifico per una patologia acuta che registra ancora un alto tasso di mortalità. Il valore di questi risultati e una pubblicazione così autorevole rappresentano un segnale di buon auspicio affinché il farmaco sia al più presto disponibile anche nel nostro Paese e sono orgogliosa del ruolo di primo piano che l'Italia ha giocato nello sviluppo clinico di questa terapia che potrà fare davvero la differenza per i pazienti”. (MATILDE SCUDERI)

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