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Investimenti in sanità digitale L'Italia il fanalino di coda in Ue

Il nostro paese investe solo 22 euro pro-capite contro i 60 della Gran Bretagna o i 40 della Francia, secondo i dati 2018 dell'osservatorio 'Innovazione in Sanità Digitale' del Politecnico di Milano

Maria Rita Montebelli
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Ancora numerose le difficoltà del 'sistema salute' italiano in sanità digitale nei confronti della gestione del paziente cronico. Gli investimenti risultano insufficienti, nonostante la maturata consapevolezza in merito al ruolo che la digitalizzazionepuò giocare in sanità tanto nella erogazione di nuovi modelli di cura, quanto in favore della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Questi i temi emersi nel corso del convegno 'Gestione del paziente cronico nell'era della digitalizzazione' che si è svolto a Roma, a Palazzo Giustiniani, su iniziativa di Fondazione Roche. La spesa complessiva per la sanità digitale in Italia, tra quanto investito da ministero della Salute, dalle Regioni, dalle singole strutture sanitarie e dalla rete della medicina generale, ammonta a 1,3 miliardi di euro (dati 2017), pari a circa 22 euro per cittadino. É quanto emerge dallo studio dell'Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, sulla base dei dati Istat e del secondo Rapporto Gimbe sulla sostenibilità del Ssn. Il responsabile scientifico dell'Osservatorio Paolo Locatelli ha spiegato: “Si tratta di un dato che pone l'Italia in posizioni di retroguardia. Si pensi che, senza arrivare ai valori di Paesi scandinavi come la Danimarca, che investe 70 euro, nazioni e sistemi a noi più vicini come quello francese o inglese 'spendono' quasi il doppio o il triplo: 60 euro per cittadino la Gran Bretagna e 40 euro la Francia”. Cartella clinica, telemedicina, app, dispositivi indossabili, intelligenza artificiale e analisi dei big data possono contribuire a favorire il raggiungimento del traguardo della sostenibilità economica di lungo periodo del Ssn, contribuendo all'erogazione di un adeguato livello di qualità delle cure, con evidente beneficio per il paziente e per il Paese. Un traguardo, secondo la fotografia tracciata dall'Osservatorio, messo a dura prova dai numeri: a fronte di una spesa sanitaria complessiva, tra sistema pubblico ed esborso diretto dei cittadini, stabilizzatasi negli ultimi 5 anni intorno ai 145-150 miliardi di euro, il fabbisogno stimato per il 2025 si attesta intorno ai 210 miliardi, dato a cui si deve aggiungere il fatto che la popolazione italiana over 65 sia in forte crescita, rappresentando già oggi il 21,8 per cento del totale - uno dei dati più elevati nel mondo occidentale - e si proietta al 2051 a quasi il 35 per cento, oltre 1 su 3 cittadini. “Emerge - ha sottolineato Locatelli - una crescente consapevolezza che le soluzioni digitali possano giocare un ruolo fondamentale nel supportare la transizione verso nuovi modelli di cura. La diffusione di tali soluzioni, tuttavia, stenta oggi a realizzarsi perché manca una orchestrazione coerente della transizione al digitale e perché oneri, rischi e benefici attesi dall'introduzione di nuovi strumenti e modalità di lavoro non sono percepiti come ripartiti equamente fra gli attori del sistema”. Ad aprire i lavori è stata Maria Pia Garavaglia, presidente della Fondazione Roche che ha posto l'attenzione su un altro aspetto che potrebbe trarre giovamento dalla digitalizzazione. La sanità digitale, attraverso lo sviluppo di strumenti organizzativi e assistenziali, “rappresenta una potente arma per colmare le differenze tra le Regioni nelle opportunità di cura dei cittadini, che oggi sono il problema dei problemi - ha dichiarato Garavaglia - Nelle malattie croniche, la digitalizzazione è un tema di primo piano quando si ragiona in termini di programmazione degli interventi sociosanitari - ha detto - In questi mesi, in occasione dei 40 anni nel nostro Ssn, Fondazione Roche si è posta l'obiettivo di sostenere un dibattito sui valori sui quali esso si fonda. Il suo carattere universalistico può essere messo a dura prova dal divario tra risorse disponibili e bisogni dei cittadini e per rispondere a questi bisogni, garantendo la sostenibilità economica del sistema, le soluzioni digitali rappresentano una leva fondamentale per trovare nuovi equilibri”. Il digitale nella continuità di cura è ancora poco sviluppato. Ad esempio, secondo un'indagine dell'Osservatorio: le soluzioni che abilitano l'interscambio di dati e documenti sui pazienti attraverso PDTA informatizzati vengono utilizzate solo dal 29 per cento delle aziende sanitarie, con professionisti sanitari dell'azienda ospedaliera appartenenti a diversi dipartimenti, e dal 23 per cento con professionisti all'interno di una o più reti di patologia. Il supporto informatico alle attività di presa in carico del paziente risulta diffuso soprattutto per le attività gestionali e amministrative, come la gestione dei dati anagrafici dei pazienti (nell'80 per cento delle aziende) e la gestione delle prenotazioni (63 per cento). L'informatizzazione stenta, invece, a diffondersi come strumento per la messa in atto di percorsi individualizzati secondo il principio della presa in carico stabile del paziente: solo in media 1 azienda su 3 utilizza un supporto digitale nella definizione, visualizzazione e aggiornamento di piani di assistenza individuale, per l'analisi dei dati dei pazienti e per mettere in comunicazione tutti gli attori del sistema salute. Anche i cittadini risultano essere 'poco digitali', secondo l'Osservatorio del Politecnico. La mancanza di competenze sembra essere una forte barriera: sono 3 su 10 i cittadini che non si sentono in grado di utilizzare questi strumenti, soprattutto fra i più anziani. Per avvicinare i cittadini al digitale, dunque, è necessario aumentare l'offerta di servizi, formare i cittadini/pazienti e valorizzare le soluzioni affidabili e di valore. I cittadini si mostrano ancora poco digitali anche nella comunicazione col proprio medico: ben 7 su 10 preferiscono incontrarlo di persona. Fra coloro che si servono di strumenti digitali, la maggior parte utilizza l'email (15 per cento), poi vengono gli Sms (13 per cento) e infine WhatsApp (12 per cento). Fra i medici che non fanno uso di questi strumenti, uno su due teme che si possano creare incomprensioni con i pazienti ed è diffusa la preoccupazione che l'utilizzo di questi strumenti possa aumentare il carico di lavoro del medico e che possa comportare rischi legati a un mancato rispetto della normativa sulla privacy. In conclusione, i dati confermano che, in Italia, il 39,9 per cento dei residenti è affetto da almeno una malattia cronica (24.133.105 persone), mentre quelle con almeno due malattie croniche rappresentano il 20,9 per cento del totale (ISTAT 2018) e di questi, il 70 per cento risultano non aderenti alla terapia, che corrisponde ad un esborso da parte della Sanità italiana pari a circa 11 miliardi l'anno (dati AIFA). Valeria Tozzi, associate professor of practice SDA Bocconi e Direttore del Master MiMS, Università Bocconi di Milano, ricorda, inoltre, come la gestione delle malattie croniche assorba tra il 70 e l'80 per cento delle risorse sanitarie. “Esistono – ha spiegato Tozzi – alcune tendenze che si stanno affermando nella gestione delle patologie croniche nel nostro Paese, che sicuramente trarrebbero vantaggio dalla digitalizzazione. Sono gli approcci di Population Health Management, quale evoluzione dei percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali (Pdta): integrare le informazioni di natura amministrativa provenienti dai big data delle Regioni e delle aziende sanitarie con quelle di natura sanitaria relative al paziente rappresentanouna sfida importante; le cronicità ad alta complessità per le quali sono centrali il ruolo delle competenze specialistiche e delle risorse tecnologiche complesse oltre che il bisogno di una staffetta importante tra ospedale e territorio. Anche in questo ambito ha un ruolo fondamentale la tecnologia dedicata allo scambio di informazioni quale ad esempio la telemedicina”. (EUGENIA SERMONTI)

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