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Favo, così la vita oltre il tumoreNetwork neoplasie ematologiche

Nasce all'interno di F.A.V.O. un network dedicato ai pazienti con neoplasie del sangue. Obiettivo: migliorare il percorso di diagnosi e cura del paziente e assisterlo nel pieno reinserimento sociale e lavorativo

Maria Rita Montebelli
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Che cos'è la ‘qualità di vita' per una persona con un tumore? “E' tornare a vivere come una persona normale”. A dare questa risposta, tanto lapidaria, quanto spiazzante è Davide Petruzzelli da ieri responsabile di F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche, un network di associazioni pazienti, impegnate nei tumori del sangue, appena creato all'interno di F.A.V.O. (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), la corazzata Potëmkin delle associazioni pazienti italiane, che confedera 500 associazioni e 2.500 volontari ed ha 700 mila iscritti. Ma le neoplasie del sangue hanno bisogno di fare rete perché sono tante, ma spesso con numeri da malattie rare (le nuove diagnosi di tutte le neoplasie ematologiche ammontano in totale a circa 33 mila l'anno nel nostro Paese). E Davide Petruzzelli, da tempo ai vertici di Lampada di Aladino Onlus è la persona scelta per guidare questa rete. “E' un network – spiega Davide - finalizzato a costituire una voce unica e più forte nel dialogo con le istituzioni. Gli obiettivi sono molteplici, perché complessa è la realtà delle malattie oncologiche viste con gli occhi del paziente, e tanti ancora gli unmet need delle persone affette da neoplasie ematologiche e dei loro familiari e caregiver'. Sotto quel suo sorriso disarmante, da persona buona e generosa, Davide ha le idee molto chiare su quali siano i grandi bisogni insoddisfatti dei pazienti con un tumore ematologico; ma prima di intraprendere qualunque iniziativa è andato a chiedere ai diretti interessati quali fossero i problemi prioritari. E ne ha contattati 850 (metà uomini e metà donne, dai 30 ai 70 anni d'età, ben distribuiti su tutto il territorio nazionale) che, attraverso l'indagine, le ‘Voci dei Pazienti', hanno fornito una serie di risposte ad un questionario quali-quantitativo. Ecco le più significative. Tumori del sangue, questi sconosciuti. Solo il 35% degli intervistati aveva sentito parlare della sua patologia prima della diagnosi, per lo più attraverso la televisione e la radio (36%) o da parenti e amici (21%). Il 65% al momento della diagnosi non conosceva l'esistenza di Associazioni Pazienti ematologici e solo il 41% è stato invitato ad aderirvi, indirizzato dagli ematologi o da altri pazienti. Ma dopo averle ‘frequentate', praticamente tutti hanno trovato molto utili i servizi forniti, l'aiuto rispetto alle pratiche burocratiche, il supporto psicologico e le informazioni sulla patologia. Il consenso informato: tra il dire e il fare… Prima di iniziare qualunque trattamento o di sottoporre il paziente ad una procedura diagnostica invasiva, il medico dà una serie di spiegazioni che dovrebbero consentire al paziente di acconsentire all'atto diagnostico o terapeutico, avendo pienamente capito di cosa si tratta. E' il cosiddetto ‘consenso informato'. Dal sondaggio di Lampada di Aladino emerge che l'80% degli intervistati ha effettivamente sentito parlare del Consenso Informato (e già è preoccupante che non sia il 100%). Ma quando si va ad indagare sulla qualità e la quantità delle informazioni fornite: solo il 66% dei pazienti ritiene di aver ricevuto una spiegazione esauriente riguardo la gestione del suo trattamento e ancor meno (61%) riguardo il percorso di cura. Insomma, il 40% circa dei pazienti avrebbe dato un consenso ‘poco informato'. Una possibile spiegazione è che al momento della diagnosi, il paziente si trova in una condizione di grande fragilità emotiva (il 31% riferisce di essere stato preso dalla, il 25% da un senso di disorientamento). “Il consenso Informato – spiega Francesco Angrilli, responsabile Centro Diagnosi e Terapia Linfomi dell'Ospedale Civile Spirito Santo, Pescara – non è un atto istantaneo ma è una vera e propria procedura nell'ambito della quale il paziente deve essere anche messo nelle condizioni di porre domande e ricevere risposte dal medico, del tempo necessario, se lo ritiene, per discutere della proposta con i propri familiari, medici e/o persone di fiducia, prima di comunicare la propria decisione”. Troppo spesso invece l'adesione si limita a una firma su un documento non compreso appieno e sottoscritto in un momento di grande fragilità emotiva”. Campioni biologiche, biobanche, & co. per la ricerca di terapie sempre più efficaci. Anche più sfumata emerge la conoscenza rispetto al significato di campione biologico (3 pazienti su 4 non sanno cosa siano) uno strumento fondamentale per una diagnosi corretta e per la ricerca di nuovi trattamenti, nel momento in cui il paziente decide di affidarlo ad una biobanca. “E quando questo accade – sostiene Elena Bravo, senior researcher dell'Istituto Superiore di Sanità -  il paziente ha diritto non solo ad un'informazione accurata, ma anche a dare un consenso informato alla ricerca, diverso e molto più dettagliato di quello che si firma per l'accesso alle cure. Un paziente informato, consapevole delle potenzialità del proprio campione, oltre a vigilare su un uso corretto del proprio materiale biologico, può fornire un contributo essenziale nella definizione dei principi di gestione etici, sociali e scientifici”. Tante info in rete, ma è fondamentale il confronto col medico. La rivoluzione digitale come nuova forma di comunicazione sta cambiando profondamente il rapporto medico-paziente. “L'incremento delle informazioni in possesso dei pazienti – riflette la dottoressa Prassede Salutari, responsabile Ambulatorio Leucemie Acute e Mielodisplasie, Ospedale Civile Spirito Santo, Pescara - ha obbligato gli operatori sanitari a modificare la propria pratica clinica. I pazienti che fanno largo uso di tecnologie digitali tendono a acquisire conoscenze sulla loro patologia, in quanto i gruppi di supporto sui social e sui social network medici forniscono un buon quantitativo di informazioni. Tuttavia, non sempre quanto si trova in internet proviene da fonti qualificate e certificate e, di conseguenza, non sempre ciò che si legge corrisponde a effettive verità e non di rado i pazienti arrivano dallo specialista con aspettative di cura non praticabili nel loro caso specifico”. Tumori del sangue: aumenta il numero ma si allargano le possibilità di cura. I numeri dei tumori del sangue sono in aumento. Negli ultimi 13 anni, le diagnosi di linfoma non Hodgkin sono aumentate del 45 per cento e quelle di leucemia del 26 per cento, anche per l'allungamento della vita media e l'aumento della popolazione. A fronte di questo però la sopravvivenza a 5 anni per tutte le forme di leucemia tra gli adulti è del 43%, quella del mieloma del 50% e quella del linfoma di Hodgkin arriva al 75%. Merito questo della ricerca e delle terapie innovative. Terapie innovative che, accanto a quelle tradizionali, nelle mani di medici esperti consentono ai pazienti con le neoplasie ematologie di superare il tumore e di tornare a vivere. Possibilmente da persone ‘normali' come auspica Davide Petruzzelli. Ma come emerge dal sondaggio, la malattia ha ricadute importante sulla vita lavorativa per almeno metà degli intervistati. La tossicità finanziaria  e gli appuntamenti persi col mondo del lavoro. L'indagine ha toccato anche un punto delicato e difficile, quello delle ripercussioni della malattia nel campo professionale e nella realizzazione delle aspirazioni personali. Circa la metà delle persone con malattia onco-ematologica intervistate ha avuto problemi nella gestione della sua attività lavorativa (48%) e in quella dei suoi familiari (42%); un intervistato su tre riferisce problemi nell'accesso al credito (ad esempio un mutuo bancario) e a prodotti assicurativi. “Le restrizioni assicurative e creditizie attuali – sottolinea Petruzzelli - costituiscono di certo una discriminazione che inasprisce ulteriormente la già difficile condizione dei pazienti e ancor di più degli ex-pazienti”. “Oggi in Italia vivono circa 900 mila persone guarite dal cancro – ricorda Francesco De Lorenzo, presidente di F.A.V.O. - e questo è un dato nuovo ed  estremamente importante poiché impone alle Associazioni Pazienti un nuovo obiettivo: lavorare coese per eliminare le barriere che ostacolano il ritorno alla vita normale. Dato che oggi, grazie alla ricerca si può guarire, una diagnosi in giovane età non può costituire un ostacolo insormontabile all'inclusione sociale e lavorativa e, di conseguenza, alla piena realizzazione della propria vita”. E il medico di famiglia? I Medici di Medicina Generale sono percepiti come una figura di supporto da poco meno la metà dei partecipanti (44%), ma solo una percentuale molto bassa è stata indirizzata dal proprio medico di famiglia verso un'Associazione Pazienti. Una maggiore sinergia tra la figura del MMG e il mondo associazionistico sarebbe auspicabile e di certo migliorerebbe la qualità di presa in carico dei pazienti a livello territoriale. “Al fine di evitare ulteriori disagi al paziente, già provato dal carico della malattia – sottolinea infatti Paolo Spriano, vice presidente SNAMID – è auspicabile che si migliori la comunicazione tra specialista ematologo e MMG e tra queste due figure mediche e il paziente, creando quella triangolazione necessaria a trasferire in modo corretto le informazioni che riguardano l'evoluzione della patologia e della cura. In uno scenario di crescita di consapevolezza sul ruolo della comunicazione tra medico e paziente, le Associazioni, grazie anche al loro capitale di speranza e di esperienza, possono svolgere un ruolo di grande supporto”. Tante insomma le questioni sul tappeto. Partire con le idee chiare è fondamentale. E Davide Petruzzelli ha dalla sua non solo una grande lucidità rispetto ai problemi e alle loro priorità, ma anche grande determinazione. A lui, a F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche e a tutta la splendida squadra di F.A.V.O. vanno i nostri più sentiti in bocca al lupo. (MARIA RITA MONTEBELLI) E per le associazioni che volessero unirsi a loro e a fare squadra, ecco i suoi contatti: Davide Petruzzelli, mob. 339 2249307 [email protected]

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