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Coronavirus, il professor Di Perri: "Perché mi preoccupa il momento in cui calerà la curva dei contagi"

Marco Bardesono
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Sono giorni che non lascia l' ospedale, l' Amedeo di Savoia di Torino, punto di riferimento d' eccellenza per le malattie infettive del Piemonte. Giovanni Di Perri è il primario, è un virologo ed è capo della task force di medici ed infermieri che fronteggiano il coronavirus nelle corsie dell' ospedale.



Professore si immagini di essere in tunnel e mi dica se comincia a vedere la luce. 
«Vedo riflessi i primi barlumi, ma la strada è ancora lunga».
Cosa suscita in lei la speranza? 
«Le ricerche che stiamo facendo. La condizione del nostro Paese, pur con tutti i distinguo, è molto simile a quella che si è verificata a Hubei, una provincia di Wuhan, per numero di casi di persone infettate e di vittime. Loro se la sono cavata in poco più di due mesi».
Quali sono i distinguo? 
«Sostanzialmente due. Le misure adottate per circoscrivere l' epidemia a Hubei, sono le stesse prese qui da noi; ma lì sono state capillari, stringenti e obbligatorie. Ovviamente in Cina i sistemi per applicare queste disposizioni, sono diversi da quelli italiani. Ma al 70% noi abbiamo fatto come loro e i tempi, forse un po' più lunghi, dovrebbero essere gli stessi. C' è poi una differenza geografica: la provincia di Hubei ruota attorno ad una grande città, mentre in Italia ci sono molti piccoli centri. Ma quello di Hubei è l' unico esempio che possiamo prendere come paragone valido per noi».
Ciò che è accaduto a Hubei rappresenta la luce riflessa. Il resto è buio? 
«Registriamo 500 morti ogni 24 ore, come se ci fossero due terremoti al giorno. Ma le stime ci fanno ritenere che, comunque sia, la mortalità di questo virus non supera il 3%. Attualmente ci sono picchi più alti in Piemonte (6%) e in Lombardia (8%), ma in Veneto dove lo screening è stato fatto a tappeto (49mila tamponi rispetto agli 11mila del Piemonte), la mortalità è più bassa, siamo al 3,24%. Al momento, però, abbiamo un denominatore comune troppo piccolo per ottenere statistiche credibili».
C' è chi sostiene che il virus si sia modificato e che ora uccida anche non soltanto gli anziani.
«Sul virus modificato, allo stato dei fatti, non esistono elementi di genetica che possano confermarlo. Sulle vittime giovani non ci sono dati certi, ma analizzando i grandi numeri c' è invece la conferma che i più esposti siano gli anziani e coloro che soffrono di gravi patologie. Sul totale di infettati abbiamo un 80% di positivi, un 15% di casi gravi e un 5% di casi critici».
Anche lei sorride con amarezza quando si parla di immunità di gregge? 
«Guardi, oggi noi non abbiamo certezze che chi guarisce dal Covid -19 ne sia poi immune. Nel breve periodo certamente sì. Ma di più non lo sappiamo. L' ipotesi dell' immunità di gregge può valere per altri virus. Pensiamo al morbillo: chi ne è stato infettato poi ne è rimasto immune per tutta la vita. Di questo ne abbiamo prova scientifica, per il Coronavirsus non abbiamo prove, solo ipotesi». C' è da essere ottimisti sul vaccino? 
«Io lo sono, perché la comunità scientifica si è mobilitata e oggi può disporre di strumenti e di una capacità di ricerca infinitamente superiore al passato. Certo, trascorrerà un po' di tempo, ma non ho motivi per ritenere che il vaccino non si troverà».
Oggi cosa la preoccupa di più? 
«Quando la curva del contagio comincerà a scendere, spero francamente tra qualche settimana, quello sarà il momento più delicato e critico. Il rischio è di allentare le misure di prevenzione che abbiamo adottato, anche per una comprensibile stanchezza. Dovremo resistere perché il virus potrebbe reintrodursi creando una seconda e forse più grave emergenza. Quando vedremo la luce potremmo rimanerne abbagliati».
L' epidemia è al nord, ma il sud Italia teme. 
«Dove l' epidemia è all' inizio bisogna agire immediatamente e applicare rigorosamente le misure di contenimento. Prima si applicano e prima se ne esce. Il virus non lo si deve seguire, ma anticipare. Ciò vale anche per gli Stati che ancora registrano non molti casi anche se, in alcuni di questi, non noto una gran voglia di usufruire del vantaggio tempo».
La Sanità è alle corde? 
«Le posso dire che in queste settimane ho visto medici e infermieri lottare con grande generosità, esempi encomiabili. Quando tutto questo sarà finito, dovremo ripensare a come riorganizzare il comparto sanitario. Non potrà più essere come prima».

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