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Trovate sostanze inquinanti

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nel sangue di chi ha avuto tumori

Monica Rizzello
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Nel sangue di persone colpite da tumore sono state trovate sostanze inquinanti, come gli organoclorinati e i policlorobifenili (Pcb) contenuti nei pesticidi. Queste sostanze – che tra l'altro hanno un legame con il calo della fertilità maschile - sono state identificate come «persistenti» nel sangue di uomini colpiti dal tumore dei testicoli. È quanto emerge dai dati preliminari dello studio, condotto nell'università di Roma La Sapienza e presentato nel convegno di medicina della sessualità in corso ad Abano Terme (Padova). I dati si riferiscono all'osservazione del primo gruppo di 50 uomini fra 18 e 45 anni colpiti da tumore dei testicoli, più 50 uomini sani: nel sangue dei primi sono state trovate tracce persistenti di inquinanti; nessuna traccia nel sangue dei secondi. Sono i primi dati di un lavoro molto più vasto, che intende coinvolgere centinaia di pazienti: «Sebbene siano dati preliminari, sono significativi e degni di molta attenzione», ha detto il responsabile dello studio, Andrea Lenzi, del dipartimento di Fisiopatologia medica dell'università romana. Organoclorinati, policlorobifenili e metaboliti del vecchio Ddt sono stati utilizzati fino agli anni '70, ma ancora oggi persistono nel suolo e nella catena alimentare. Da tempo si è scoperto il legame tra la loro alta concentrazione e alterazioni dei parametri seminali (soprattutto la riduzione del numero di spermatozoi). «Adesso i nostri dati dimostrano che una maggiore esposizione agli organuclorurati può essere associata ad un maggior rischio di insorgenza di tumore testicolare», rileva Lenzi. Incrociando poi i dati relativi alla persistenza nel sangue di questi componenti dei pesticidi con le abitudini alimentari degli uomini arruolati nella ricerca, è emerso che il consumo di latticini e pesce potrebbe essere un possibile fattore di rischio per il tumore dei testicoli. Nel frattempo, un gruppo di ricerca del Policlinico San Matteo di Pavia ha messo a punto nuovi modelli animali per rilevare rapidamente i danni al Dna causati dall'ambiente e valutare il rischio biologico relativo alle sostanze inquinanti persistenti nel suolo, nell'acqua e nell'aria. Dai risultati ottenuti finora, è emerso che il bentazone, un erbicida comune nella coltivazione del riso, anche utilizzato nei limiti consentiti, altera lievemente i tubuli seminiferi.

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