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Alzheimer, lo studio italiano: la proteina dietro la perdita di memoria

Claudia Osmetti
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 È la ricerca, bellezza. Quella che studia, analizza e (alla fine) ci salva la pelle. Ha funzionato col Covid, sta funzionando sempre di più con malattie insidiose come l’Alzheimer. Premessa: un conto sono le scoperte e un altro le loro applicazioni pratiche (per le quali serve tempo), però la strada sembra tracciata e soprattutto pare quella giusta. Quindi sì, è una eccellente notizia: pure italiana al cento per cento, per cui, c’è un pizzico di orgoglio nazionale.

I ricercatori dell’Istituto superiore della sanità (Iss), dell’Irccs San Raffaele di Roma e del Cnr (il Consiglio nazionale delle ricerche) hanno individuato un nuovo meccanismo molecolare alla base della perdita della memoria e delle capacità cognitive caratterizzanti le demenze. Primo, conosci il tuo nemico (vale anche in medicina): in Italia si contano circa due milioni di persone alle prese con queste patologie, l’ultima scoperta rappresenta per loro, e per tutti, un doppio binario di speranza. Da una parte aggiunge un tassello importante alle conoscenze che già c’erano e dall’altra potrebbe aprire la strada a nuove diagnosi precoci fornendo un innovativo biomarcatore (un indicatore biologico) della malattia.

Dna-Pkcs: il nome è quasi uno scioglilingua, ma così si chiama quest’enzima (una proteina chinasi) coinvolta nei meccanismi di riparazione del dna nelle cellule nervose. È la responsabile della “fosforilazione” (una particolare modificazione della struttura) di un’altra proteina, nome in codice, Psd-95, che organizza le sinapsi, la loro struttura e la trasmissione dei segnali. Dna-Pkcs si trova (appunto) nelle sinapsi; lo studio che per primo la mette nero su bianco è pubblicato su Embo Repots.

Occorre fare un passaggio indietro, al 2016, quando lo stesso team di ricercatori aveva evidenziato come Dna-Pkcs venisse inibita dalla proteina beta-amiloide che si accumula nel cervello di chi ha l’Alzheimer: a proposito delle scoperte che ne incanalano altre e così via. Adesso sappiamo che «la ridotta attività enzimatica della Dna-Pkcs, mediata dall’accumulo di beta-amiloide, provoca la riduzione dei livelli di Psd-95 nelle sinapsi, dovuta alla sua mancata “fosforilazione”, e la disfunzione che è alla base della perdita di memoria», spiega la dirigente di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell’Iss e coordinatrice dello studio Daniela Merlo. «Dna-Pkcs ha un ruolo fondamentale nella memoria e nei deficit cognitivi che caratterizzano l’Alzheimer e le demenze», aggiungono Cristiana Mollinari (ricercatrice dell’istituto di Farmacologia traslazionale del Cnr) e Leonardo Lupacchini (ricercatore del San Raffaele Roma), entrambi tra i primi autori dell’articolo.

Uno studio, quello congiunto, che «identifica nuove vie cellulari che possono essere modulate farmacologicamente e, quindi, strategie terapeutiche mirate a regolare l’attività» di proteine che «potrebbero avere un importante impatto terapeutico sulla perdita delle sinapsi e sui deficit cognitivi in diverse malattie neurologiche», commenta Enrico Garaci, il presidente del Comitato tecnico scientifico dell’Irccs San Raffaele.

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