Clima, Georgiadis: "Inutile dire che il mondo finisce domani"

di Claudia Osmettigiovedì 3 luglio 2025
Clima, Georgiadis: "Inutile dire che il mondo finisce domani"
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La prima cosa che noti è che Teodoro Georgiadis non alza mai la voce. Non ha un tono concitato, non si fa prendere dalla foga: al contrario è misurato ed estremamente gentile. La seconda è che, con un curriculum come il suo (tra il resto: una laurea in Fisica, una in Astronomia, il ruolo di ricercatore ora in pensione ma ancora associato al Cnr di Bologna), non ha la minima spocchia del professorone che impartisce lezioni urbi et orbi. La terza, invece, una parlantina schietta, che non ci gira attorno. «Un allarme c’è, mi sembra evidente», dice, «che poi esista anche una “crisi” correlata, ecco, su questo, sono po’ restio».

Professore Georgiadis, glielo chiedo subito e ci togliamo il pensiero: lei è un “negazionista” del cambiamento climatico?
«No. Anzi, scherzando con gli amici di Legambiente mi definisco piuttosto un “lentista”».

Aspetti un attimo, cos’è un “lentista”?
«Ha presente i venditori di auto usate, quelli che non hanno ancora la macchina da piazzare ma spergiurano che ci sono già tre persone che la vogliono vedere in modo da convincerne una quarta a buttarsi a capofitto nell’affare? Ecco, quelli sono i comportamenti da evitare. Io mi considero un “lentista” perché, sulla base delle conoscenze scientifiche, sostengo che dobbiamo prendere sì delle decisioni, ma che siano ben poggiate coi piedi per terra».

Quindi il cambiamento climatico esiste?
«Certo. Ne abbiamo un’evidenza: vediamo le temperature aumentare, è un dato di fatto. Prenda la fusione dei ghiacciai: c’è, per carità, però se la ricorda quella narrazione alla Al Gore, quell’esagerazione per cui avremmo avuto la fusione di tutti i ghiacciai del mondo nel giro di pochissimo tempo? Non è andata esattamente così. I ghiacciai non stanno in salute, d’accordo, ma non abbiamo nemmeno quegli estremi un po’ catastrofici che ci venivano comunicati».

Allora è una questione, come dire, di comunicazione?
«La comunicazione c’entra. C’entra molto. Le faccio un altro esempio: non abbiamo visto un aumento esagerato del livello del mare. Lo abbiamo misurato e continuiamo a misurarlo, misuriamo anche delle accelerazioni, ma non sono quella cosa di cui si parlava vent’anni fa. Esiste una reale preoccupazione ed è marcata su moltissimi aspetti. Che il mondo finisca domani, lo escluderei. Tra l’altro abbiamo tutta una serie di strumenti che ci possono favorire nel cosiddetto “adattamento”».

Per esempio?
«In Europa abbiamo una piramide demografica ribaltata con un piede un po’ stretto perché i giovani sono pochi e con una cima un po’ ampia rappresentata dalle persone over 65 che spesso, glielo dico io che sono un pensionato, sono portatori di patologie o problematiche magari di reddito. Se vogliamo costruire una “città equa”, sapendo che il 70% della popolazione umana oramai si è urbanizzato, non dobbiamo partire dal cittadino medio, che neanche esiste. Ma dalle fasce deboli. Pensi alle ondate di calore».

In che senso?
«L’onda di calore che investe le persone anziane ha degli effetti diversi dall’onda di calore che investe un giovane. È fisiologico. Ma un anziano che si ritrova in una città che non è stata progettata per tutelarlo, cosa fa? Si rinchiude in casa, non socializza e soffre due volte. L’alternativa è progettare spazi verdi, però attenzione: verdi per davvero. Non perché ci-piace-il-verde. Non servono mille miliardi di alberi, servono gli alberi giusti al posto giusto che permettano alle persone anziane di uscire e di incontrarsi con altri».

Soluzioni più ragionate e meno ideologiche?
«Ha colto il punto. Guardi, il nostro problema è questo: se diciamo che vogliamo cambiare il mondo domani, allora stiamo affrontando un discorso di tipo ideologico perché il modello di sviluppo è un treno lanciato a tutta velocità e noi siamo fermi in mezzo ai binari. Se invece pensiamo su un altro piano ci sono soluzioni che, per ora, sono pure a basso costo. C’è una parte della politica che queste cose le ha capite e le sta già facendo. Bisognerebbe spingerle al di là degli allarmismi, o-mio-dio-moriremo-tutti, che ci tolgono anche la voglia di reagire. Più che gridare all’allarme, sarei per passare delle cose».

Eppure queste grida sono martellanti, ogni giorno ce n’è una. Non danno tregua. Perché?
«Onestamente, non glielo so dire, però ha ragione. Le racconto cosa mi è capitato qualche tempo fa, posso?».

Prego.
«In passato mi sono occupato di studi artici e antartici. Mi sono imbattuto in un allarme di un’alta temperatura in Antartica, con una differenza di venti gradi, che dimostrava, secondo chi lo lanciava, il cambiamento climatico».

Urca...
«Aspetti. Mi è sembrato subito molto strano e sono andato a vedere quale stazione l’aveva misurata. Ho scoperto che era una a livello del mare. Allora ho controllato la circolazione atmosferica. Gliela faccio breve: ho visto che quel giorno le masse d’aria precipitavano dal ghiacciaio, cioè dalla parte alta, fino a giù. Esiste un processo fisico che si chiama “compressione adiabatica”, in pratica è una cosa simile al nostro föhn: quella temperatura c’era, era stata registrata, ma mancava l’interpretazione fisica del fenomeno. E moltissime persone si sono buttate su questo. Talvolta prevale, non voglio dire il pregiudizio ideologico ma, la voglia di vedere dimostrata una propria teoria».

Lei prima ha detto che i troppi allarmi ci tolgono il desiderio di reagire: come?
«Se insistiamo sul fatto che tanto la partita è giocata, non si invita a risolvere il problema. Ritorno sulle persone anziane: spesso le si accusa di menefreghismo. Certo, hanno un’aspettativa di vita più corta e se non hanno figli possono essere portate a guardare a un arco temporale di una trentina d’anni e basta. Ma il punto non sono loro, è che occorre coinvolgerle in un modo diverso. Non con gli allarmi ma coinvolgendole con qualcosa di più interessante».

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