Un nuovo lavoro spopola da tempo sui social, un impiego ben redditizio che permette comodamente da casa di incassare a fine mese uno stipendio da dirigente. Basta avere un cellulare, un profilo Instagram o TikTok ed un bambino: stiamo parlando delle mamme e papà influencer.
Un fenomeno che, negli ultimi anni è esploso anche in Italia dove, per ottenere like e condivisioni le mamme postano quotidianamente immagini e video dei propri figli. Esistono delle vere e proprie agenzie che gestiscono le pagine social e regole d’ingaggio ben chiare. Abbiamo parlato con Chiara (nome inventato, preferisce mantenere l’anonimato), responsabile di una nota agenzia con molteplici collaborazioni nel settore. Chiara ci racconta che ”da diversi anni gestiamo collaborazioni con influencer e content creator attive nei settori family e parenting, assistendo a una profonda evoluzione del lavoro. Inizialmente, le collaborazioni erano basate principalmente su uno scambio di visibilità: i brand fornivano prodotti da testare e raccontare, e le influencer li presentavano alle proprie community, contribuendo a far conoscere marchi e novità del settore. Con il tempo, le collaborazioni si sono strutturate in modo più complesso, evolvendo in vere e proprie partnership professionali, spesso con compensi economici significativi.”
Ma cosa ha causato questa trasformazione? “Ha introdotto nuove dinamiche e pressioni, soprattutto per le mamme influencer. Alcune avvertono la necessità di condividere sempre più aspetti della propria vita familiare, esponendo anche i figli per creare contenuti, con il rischio di trasformare momenti intimi e privati in materiale di lavoro. In certi casi, sembra quasi che il valore della famiglia venga misurato attraverso like e follower”.
Chiara ci racconta che "la crescente professionalizzazione del settore ha inoltre portato a fenomeni sempre più complessi: c’è chi arriva a pianificare la propria vita familiare anche in funzione della continuità della propria attività online, arrivando talvolta a scegliere di avere un secondo figlio per mantenere vivo l’interesse del pubblico e dei brand. Un aspetto che apre inevitabilmente un dibattito profondo sul confine tra vita privata e identità professionale.
In parallelo, alcune mamme influencer hanno iniziato a considerare la possibilità di contrattualizzare i propri figli, utilizzando la loro immagine per aumentare visibilità e opportunità di collaborazione. Questo solleva interrogativi etici importanti, legati al consenso, alla tutela della privacy e al benessere dei minori coinvolti”.
Il tema dell’”utilizzo” dei minori sui social è certamente estremamente delicato. È legittimo forse chiedersi se sia eticamente corretto coinvolgere i propri figli nella comunicazione digitale per finalità professionali o di visibilità. Le parole di Chiara devono far riflettere sul futuro di cosa si è disposti a fare per valorizzare il proprio profilo a discapito anche dei propri figli. Parlando con il Dottor Michelangelo Luperini medico e psicoterapeuta esperto in dipendenze e psicopatologia dei social media, cerchiamo di capire in cosa consiste il fenomeno del “momfluence” ovvero di una mamma che cresce i bambini davanti allo schermo.
Il dottor Luperini sottolinea che “i bambini che passano gran parte del tempo con un telefono in mano — non per gioco scelto ma perché messi davanti allo schermo come accessorio del brand materno — rischiano di perdere opportunità fondamentali di crescita. Studi recenti mostrano che un uso eccessivo di dispositivi digitali nei primi anni di vita è associato a ritardi nello sviluppo del linguaggio, delle capacità cognitive e della regolazione emotiva”.
Luperini ribadisce che “quando un bambino viene utilizzato come 'contenuto' e al contempo resta più tempo con lo schermo che a interagire realmente, l’apprendimento sociale e la dimensione emotiva ne pagano il prezzo. I Bambini che superano 1 ora di schermo al giorno in età prescolare mostrano vulnerabilità maggiore in abilità fisiche, sociali, emotive e comunicative. Esporre troppo presto (1‑2 anni) a uno schermo si associa con ritardi in comunicazione e problem solving a 2‑4 anni. Usare lo schermo per “calmare” un bambino evitando la vera interazione insegna: rivolgiti allo schermo e non ai tuoi sentimenti. E questo mina la capacità di gestire le emozioni”.
Lo psicoterapeuta sostiene poi che considerando il “momfluence” in questo contesto “l’immagine perfetta che va in diretta, il bambino ripreso mentre gioca o mangia, magari con il telefono a disposizione: tutto è raccontato, sponsorizzato, condiviso. Il bambino diventa parte del brand, del contenuto, non del soggetto di cura. E questo porta a due conseguenze concrete: la prima ad un’interazione ridotta ovvero che il bambino è davanti allo schermo o viene coinvolto come oggetto di video, perde tempo prezioso di gioco spontaneo, di dialogo reale, di tempo “no telefono” con mamma/papà. Ma è l’interazione che costruisce il linguaggio, la comprensione, la regolazione emotiva. E come secondo aspetto non possiamo non parlare di contenuto & immagine prima dello sviluppo, Luperini ribadisce che: “Quando il piccolo è “in scena”, c’è la pressione implicita di essere “carino”, “presentabile”, sempre attivo per il social. Questo può interferire con il diritto a essere semplicemente bambino, a sbagliare, a noleggiare l’attenzione, a non essere spettacolo. E la dipendenza dallo schermo alimenta un modello di presenza digitale anziché corporea”.
Insomma, continua Luperini “usare un bambino come mezzo per like e follower non è un innocuo brand famiglia”. È un modello che rischia di privarlo di esperienze fondamentali: l’errore, la noia, la relazione autentica, il guardare fuori da uno schermo. Più tempo con lo schermo significa più rischio di ansia, problemi comportamentali, immaturità emotiva”.
Lo psicoterapeuta ribadisce poi che ”chi crede che 'tanto lo schermo è utile' sbaglia: non è solo questione di ore, ma di contesto, qualità e presenza. Se la mamma influencer passa più tempo a filmare che a guardare il figlio negli occhi, la favola diventa danno”
Il messaggio che emerge dal Dott Michelangelo Luperini è netto: ”I bambini non sono content creator in miniatura. Sono persone in formazione. È responsabilità degli adulti proteggerli, non usarli come strumento di visibilità. Se una mamma influencer vuole follower, che lo faccia senza suo figlio in braccio a smartphone 24 ore. Altrimenti, la crescita psichica delle nuove generazioni paga il conto”.