Solastalgia, l'ultima trovata degli eco-allarmisti: si diventa pazzi...

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista BMJ Mental Health, quando si è colti da una "crisi ecologica" è normale piangere per il buco dell’ozono
di Giorgia Petanimercoledì 6 agosto 2025
Solastalgia, l'ultima trovata degli eco-allarmisti: si diventa pazzi...

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Chiamale, se vuoi, eco -emozioni... Non è il titolo di una canzone sdolcinata, ma è la deriva ambientalista a cui si è arrivati, senza quasi nemmeno rendersene conto. Dopo i pianti disperati della giovane studentessa che, davanti al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, aveva ammesso di aver paura per il proprio futuro affermando di soffrire «di eco-ansia», oggi c’è chi afferma (senza il timore di passare per pazzo) di soffrire di solastalgia.

Tale parola, coniata per la prima volta nel 2003 e nata dalla fusione di solace (conforto) e nostalgia, è una condizione che - secondo la scienza - potrebbe spiegare gli effetti del cambiamento climatico sulla mente. In particolare, secondo una revisione delle ricerche disponibili, pubblicata sulla rivista BMJ Mental Health, quando si è colti da una «crisi ecologica» si può piangere per il buco dell’ozono, sentirsi persi per il riscaldamento globale e arrivare persino a soffrire per la desertificazione. Secondo i ricercatori, la solastalgia, è una delle «numerose eco-emozioni, come l’eco-ansia, l’eco-lutto o l’eco-vergogna/senso di colpa, che potrebbero essere importanti per spiegare i problemi di salute mentale derivanti da crisi ecologiche». Ma i nostri ricercatori si sono spinti davvero oltre i confini dell’immaginazione. La solastalgia, secondo tali studi, sarebbe associata a depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico, tanto da aver portato allo sviluppo di scale per misurarla.

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Tuttavia, non si sa in che misura questa condizione possa realmente contribuire agli effetti del cambiamento climatico sulla salute mentale. Tradotto: nessuna certezza, nessuna prova, ma solo l’ennesima etichetta per giustificare “fobie” che non sono altro che il frutto di una forma di eco-psicosi collettiva, la cui prima promotrice è stata l’ormai cresciuta Greta Thunberg, l’attivista svedese diventata simbolo della lotta ambientalista, capace di conquistare i cuori di politici e intellettuali di sinistra. Indimenticabile il deputato Nicola Fratoianni che, nel 2019, sulla pagina di Sinistra Italiana, congratulandosi con i giovani che erano scesi in piazza per il “Fridays For Future”, titolava la sua lunga riflessione: «Chi vuole essere Greta?» E a credere di essere dei piccoli salvatori del pianeta sono stati in tanti. Basti pensare agli attivisti di Ultima Generazione, che in questi anni hanno deturpato statue e monumenti, fatto blitz nei musei danneggiando opere artistiche, e bloccato tangenziali per fermare gli automobilisti rei di recarsi al lavoro in macchina.

Del resto, alimentare un certo allarmismo non può che provocare danni collaterali, e quelli sono reali e tangibili. Come quelli provocati nei bambini, che, ora, anziché sognare fate e fatine, fanno incubi su ipotetici disastri ambientali. Uno studio, condotto nell’ambito del progetto “A Scuola di Acqua” di Scuolattiva Onlus e supervisionato dall’Università di Pavia che ha coinvolto circa 1.000 bambini tra i 5 e gli 11 anni ha rivelato che il 95% dei bambini è preoccupato per l’ambiente e il 40% ha fatto brutti sogni legati al cambiamento climatico, al punto da avere difficoltà a dormire o a mangiare. Ma la colpa non è dei cambiamenti atmosferici, ma di chi ha permesso ai più piccoli di interiorizzare questioni più grandi di loro. Tornando allo studio, i ricercatori, riconoscono di aver potuto attingere solo a un numero limitato di studi pubblicati sulla solastalgia, e che tutti i lavori inclusi erano studi osservazionali, rendendo impossibile stabilirne la causa...O forse perché, in realtà, l’ansia da clima non esiste affatto?