Giulia Bongiorno, ritratto del "miglior uomo al governo": la neo-candidata della Lega Nord
Se Giulia Bongiorno diventa ministro (rigorosamente della Giustizia o, ad andar male, degl'Interni) sarà «il miglior uomo al governo», come diceva Ben-Gurion di Golda Meir, nell'eco di mortai della guerra del Kippur. Ecco. L'irruzione dell'avvocato penalista Bongiorno, palermitana, classe '66, asciutta e secca come un canna di fucile, nei listini di Matteo Salvini, «capolista della Lega in diversi territori del Paese», è stata accolta col fragore di una rivoluzione. Matteo, in posa allegramente ducesca, introduce Giulia in conferenza stampa: «È il segno di una Lega che punta su professionalità della realtà civile soprattutto nel campo della difesa della sicurezza, dei diritti delle donne, della riforma della Giustizia». Giulia, col solito sguardo di una che dà la sensazione di essere sempre sul punto per prendere a craniate i cronisti, risponde: «Mi sentivo un po' contumace. Portavo avanti battaglie seduta nel mio ufficio. Ma se non si è in Parlamento le cose si dicono ma non si fanno. A tutto pensavo tranne che io, del sud, potessi correre con Salvini (anche noi, ndr). Ma negli anni dovevo stare attenta, perché quello che dicevo io lo diceva anche Salvini». Leggi anche: Bongiorno: "Avevo paura di Salvini, ma..." Da qui l'avvocato intona un lapidario peana verso la « nitidezza salviniana in tema di sanzioni e regole» che è un piattaforma programmatica. Mitragliata sulle norme malscritte e sui magistrati che peggio le interpretano («Pensiamo alla legge sullo stalking: era stata svuotata per un errore da un provvedimento del ministro Orlando»). Mazzuolata sull'italico, ormai perenne oblio delle sanzioni. Schioppettata sull'importazione eccessiva d'immigrati. Promessa solenne in favore della battaglia contro gli abusi verso le donne, prosieguo naturale della sua lotta sociale con Michelle Hunziker. Bongiorno, a occhio, sarà la «sceriffa» della Lega. L'augurabile «miglior uomo al governo» torna torna così all'ovile politico. Bisogna essere onesti: tanto ferma e inamovibile è stata nella sua carriera forense, tanto volubile Bongiorno s'è distinta tra i partiti nell'alveo del centrodestra. Secchiona inarrivabile, competenza giuridica ai limiti dell'umano, stella nascente nel processo Andreotti sotto l'ala di Giocchino Sbacchi e Franco Coppi, Giulia è stata, di volta in volta, dal '92, granitico difensore nei processi eccellenti a Pacini Battaglia, Cragnotti, Totti, Bettarini, Vittorio Emanuele di Savoia, Piero Angela o Raffaele Sollecito. Per non dire dei casi di crimini legati ai «colletti bianchi». Spesso, in aula, ha vinto, talora ha abbandonato, quasi sempre ha fatto delle sue cause un punto d'orgoglio. In politica, si diceva, è diverso. In Parlamento è già stata deputata per due legislature, eletta prima con Alleanza Nazionale e poi col Popolo delle Libertà. Nel 2010 aderì a Futuro e Libertà (FLI) , e nel 2013 si candidò alla presidenza del Lazio sostenuta da UdC e FLI, ottenendo un risultato non emozionante (4,6%). Dopo una concitata candidatura - e mancata elezione- in Senato con la lista Monti, Bongiorno aveva deciso di tornare a basculare dalle pandette alle battaglie civili. Negli intervalli s'è riprodotta: ha un figlio, Ian, di sei anni. Ed è entrata, sempre in virtù d'una tambureggiata rettitudine in vari cda e organi di vigilanza da Terna Plus, alla Juventus a Poste Italiane. Bongiorno ritiene se stessa la «donna degli eccessi», nel senso che, dopo aver ruminato dubbi, se prende un impegno ci si consuma sopra. La sua leggendaria dotazione di «attributi» direi che è quasi una diminutio... di Francesco Specchia