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Vittorio Feltri, il toccante saluto a Roberto Crespi: "Il lutto che mi lascia un grande dolore al petto"

Davide Locano
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Roberto Crespi non è un nome noto al grande pubblico, ciò non toglie che l'uomo fosse grande. Grandissimo. Lo dico con cognizione di causa, avendo con lui lavorato quattro anni al Giornale. Mi dicono che è morto dopo un lungo periodo di sofferenza, e ciò mi dispiace non solo perché ero amico suo, ma perché l' editoria perde un personaggio, per quanto oscuro, capace di guidare con mano sicura una azienda importante. Crespi fu amministratore delegato del foglio fondato da Montanelli per molti anni. Io lo conobbi nel 1994 quando subentrai a Indro alla direzione del quotidiano, in seguito alla rottura - su base politica - con la proprietà di Silvio Berlusconi. Il quale scelse me in qualità di successore del più celebrato dei cronisti italiani. Il pomeriggio in cui entrai nel palazzo di via Negri, sede del Giornale, per esordire alla guida di questo, fui accolto da Crespi, un asburgico avaro di parole eppure gentile e garbato. Mi accompagnò in quello che sarebbe stato il mio ufficio e mi disse: è brutto ma provvederemo a migliorarlo. Fu così. Intanto però mi accomodai dietro a una scrivania zoppa (una gamba più corta delle altre tre). Sul ripiano una macchina per scrivere di plastica rossa e antiquata. Parlai con la redazione perplessa (non si fidava appieno di me che provenivo dall' Indipendente, che pure andava a gonfie vele) e pronunciai tre parole: faremo meglio di Montanelli. Mi aspettavo un pernacchio e, invece, nessuno fiatò. Tornai nel mio studio fottendomene della votazione di gradimento. Che però, mi riferirono, essere stata positiva. Scrissi il fondo, cioè il saluto ai lettori. Non era facile sostituire il pontefice dei giornalisti patri. Tuttavia pensai: male che vada mi cacciano. Avevo un bel contratto e non sarei morto di fame, anche perché sono inappetente, mangio pochissimo. L' indomani verso le 11 ricevetti una telefonata: era Montanelli. Che si complimentò con me per l' articolo fresco di inchiostro. Aggiunse: mi spiace soltanto di non averlo firmato io. Indro era un signore vero. Da quel momento in poi collaborai solo con Roberto Crespi, che aveva il senso dell' amministrazione. Insieme, sempre in accordo, tagliammo le spese e aumentammo gli introiti in misura vertiginosa. Chiudemmo le corrispondenze onerose dall' estero, quelle di Mosca, di Parigi, di Londra e di Berlino nonché di Bonn. Un risparmio pazzesco. Cinquantaquattro redattori si erano trasferiti con Montanelli in procinto di varare La Voce. Ne sostituimmo una quindicina, riducendo l' organico. Crespi aveva il braccino corto almeno quanto il mio e fummo contenti di segare i costi. L' operazione parsimonia, anziché penalizzare la distribuzione, si rivelò un successo: meno uscite di denaro, maggiori incassi. La diffusione aumentò assai. Terminammo l' esercizio in pareggio, cosa che non accadeva da anni. Successivamente, registrammo un notevole attivo dovuto a una esplosione (record) delle copie spacciate in edicola. Crespi era euforico. Il merito era soprattutto suo che aveva capito il mio spirito sparagnino e teso a migliorare i conti. Siamo stati bene insieme in quel tempo eroico e gli riconosco di essere stato un campione nel suo campo. Ecco perché oggi, che egli ci ha abbandonati, sono triste, oltre che stanco, perché un dirigente come lui non c' è più cosicché i giornali hanno perso peso. Lo stimavo. Gli ho voluto bene e nel giorno dell' addio vorrei si sapesse che certi soggetti che sgobbano nell' ombra sono decisivi: senza di loro si va a fondo o si galleggia a fatica. Noi galleggiamo perché abbiamo imparato da Roberto, deceduto a 80 anni, pochi, a nuotare nelle burrascose acque della stampa. Lo ringraziamo e lo accompagniamo alla tomba con un forte dolore al petto. di Vittorio Feltri

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