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Cinema, Checco Zalone re del botteghino: batterà il suo record

Per "Sole a catinelle" 8 milioni in 2 giorni. Gli intellettuali snob non si accorgono che capisce gli italiani come nessun altro

Giulio Bucchi
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La matematica non è un'opinione. E la matematica  delle cifre degli incassi delle prime visioni parla chiaro. Sole a catinelle con Checco Zalone  nel primo giorno di programmazione (giovedì 31) ha incassato più di due milioni di euro, nei primi due giorni otto. Una facile previsione. Prima di terminare il suo ciclo in prima «Il sole» avrà abbondantemente  sorpassato lo Zalone precedente Una bella giornata (arrivato a quasi 50). Queste le cifre. Dopo le cifre, sono arrivate le opinioni. Quasi tutte negative. Se il popolo ama Zalone significa che il popolo è bue, che condivide il qualunquismo del comico pugliese, e il suo smaccato antieuropeismo. In realtà il popolo non è mai bue, il pubblico ha sempre ragione, come disse quasi un secolo fa uno dei padri fondatori del cinema, Samuel Goldwyn. Come mi disse (per mia grande fortuna) il mio primo direttore che mi costrinse ad andare a rivedere Giovannona coscialunga per capire quale fosse il suo appeal nei confronti dello spettatore (a parte le cosce di Edwige Fenech). Una lezione che spero di non aver mai dimenticato. Infatti  mi sono accostato al Sole non per rilevare gli errori di drammatica di Gennaro Nunziante (il regista fisso del Checco) ma per capire le ragioni del successo (perché il successo era annunciatissimo, altrimenti la distribuzione non avrebbe osato un esordio a tappeto da 1200 copie in contemporanea). Prima ragione. Checco azzecca sempre l'interlocutore. Che nei film precedenti era il meridionale alla conquista del nord. E qui siamo tutti noi, gli italiani sotto la cappa della crisi. Che hanno, prima fra tante frustrazioni, quella di non potersi permettere una vacanza con la famiglia (perché sei disoccupato o stai per diventarlo). Se la moglie ti molla pazienza, ma se il tuo bambino, pur volendoti un bene dell'anima, comincia a guardarti come un perdente, eh no questo è proprio duro da mandar giù. Se poi uno vede che, contrapposto al suo mondo precario e ormai famelico, ce n'è un altro che vive nel lusso totale e pacchiano, l'identificazione Checco- pubblico è totale, incondizionata. Non puoi allora stupirti di quelle migliaia di biglietti staccati il primo giorno. Se mai stupiresti del contrario. Certo Checco non è mica Charlie Chaplin. Di buchi narrativi nell'ora e mezza scarsa di proiezione nei puoi trovare quando vuoi, ma Checco (e diciamo pure Nunziante) hanno un istinto belluino per capire quando la noia è in agguato e un attimo prima che lo spettatore se ne renda conto, ci piazzano la battuta o la gag di situazione che ti ridanno la sveglia. E allora perché questo insuccesso pressochè totale di critica (Zalone si metta tranquillo, tra 30 anni lo riabiliteranno come Totò)? Un motivo è facilmente intuibile. Sole a catinelle non è uno spettacolo «corretto», ha i suoi scompensi narrativi, se vogliamo, anche errori di grammatica (non lo proietteremmo a un corso di regia). Ma forse la colpa peggiore non sono gli svarioni di ortografia .Piuttosto la scorrettezza politica. Zalone nel suo confessatissimo qualunquismo attacca  personaggi che in genere i comici «allineati» trattano con i guanti bianchi.  Come gli imprenditori progressisti, che si autoproclamano europeisti e merkeliani, ma chiudono le fabbriche, e intanto sulla crisi ci fanno i miliardi. Come i sindacalisti (che Dio ci aiuti). Gli psicologi, gli assistenti sociali (in vita mia non ne ho mai incontrato uno che non  votasse a sinistra). Che Dio aiuti i nostri figli. Ora Checco non è certo un fustigatore di costumi, le sue critiche sono blande, fanno solo colore. Ma per urtare certe suscettibilità  i suoi siparietti all'acqua di rose bastano e avanzano. Perché  è un «non allineato» (per l'intellighenzia nostrana un cane sciolto di successo è quasi eresia). L'allineamento è uno dei mali secolari del nostro cinema ed è preteso anche da chi non fa film impegnati, anche dagli autori di commediole. I quali sono liberissimi di raccontare le solite storielle divagatorie sui laureati, gli immaturi, i bancari precari, ma dentro hanno l'obbligo di infilarci la battuta, la trovata (tipo, «l'Imu la debbono pagare tutti») che facciano capire da che parte sta il regista. E da che parte deve stare lo spettatore. di Giorgio Carbone

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