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Beatrice Borromeo, altra cannonata a Vittorio Emanuele: "Il tassello mancante"

Roberto Tortora
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Sta facendo molto discutere la mini docu-serie uscita su Netflix il 4 luglio scorso, che racconta la surreale storia del principe Vittorio Emanuele di Savoia e dell’omicidio (accidentale?) del giovane Dirk Hamer sull’isola corsa di Cavallo. Era il 18 agosto del 1978, il giovane morirà per la ferita subìta dopo 111 giorni. Paola Pollo, giornalista del Corriere della Sera, ha intervistato Beatrice Borromeo, colei che ha diretto la serie e non solo: è figlia, infatti, di Paola Marzotto che, a sua volta, è stata tra le migliori amiche di Birgit Hamer, la sorella della vittima che ha speso una vita a caccia di giustizia. È, dunque, ben dentro una storia che conosce per via familiare. A colpire, al di là della vicenda in sé, è stato però un involontario scoop finale del Principe che, in un fuori onda, ha ammesso di essere stato testimone di un altro “incidente”, protagonista il giovane e futuro re di Spagna, Juan Carlos, colpevole nel 1956 di aver ucciso per un tragico incidente (colpo accidentale d'arma da fuoco, ndr) il fratello 15enne Alfonso.

 

 

 

Così la Borromeo: “Ero stupita che, nei primi giorni dopo il lancio, nessuno parlasse di quella registrazione, che è fondamentale per capire davvero la storia di Vittorio Emanuele. Quello scoop può sembrare scollegato dal resto del documentario solo a un osservatore distratto: il fatto che Savoia, durante la sua adolescenza, cioè negli anni in cui s’impara tutto del mondo, abbia assistito a un incidente analogo al suo, che ha provocato una morte subito, è il tassello mancante per capire davvero la vicenda di Cavallo”. La direttrice della serie spiega come è avvenuta la confessione: “Vittorio Emanuele ha ripetuto la storia di Juan Carlos varie volte in coda alla sua intervista, a me e poi ad altri membri della troupe. È stato lui stesso, spontaneamente, a mettere in collegamento le due vicende. Credo l’abbia fatto per via della profonda analogia tra loro sia per la dinamica degli incidenti sia per come sono stati gestiti dopo. Credo quindi che ce l’abbia voluto raccontare per farci capire a fondo qual era il contesto in cui è cresciuto. Era un materiale delicato, ma quando Paolo Bernardelli, il nostro produttore esecutivo, ha avuto l’idea di mettere la registrazione in coda – spiega la Borromeo - abbiamo subito capito che funzionava, perché donava quella chiave di lettura in più per poter rileggere i tre episodi con una consapevolezza nuova”.

Un finale scomodo, sul quale ci sono state molte riflessioni della produzione e di Beatrice Borromeo stessa prima della pubblicazione: “Ci ho molto riflettuto perché per me i rapporti umani, soprattutto se nascono su terreni così improbabili come con Emanuele Filiberto – racconta la regista - vanno protetti. Ho grande rispetto del percorso che ha fatto nell’affrontare il passato così da poterlo chiudere. Ma quel tassello mancante che Vittorio Emanuele ha voluto condividere con noi, era giusto condividerlo col pubblico”.

 

 

 

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