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Rai, direttori in fuga: perché non vogliono organizzare i confronti tra partiti

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Francesco Storace
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La fuga dei direttori. Alla Rai succede anche questo. No, non stanno scappando perché adesso arriva il nemico. Semplicemente non sanno come fare per evitare di violare la par condicio. E siccome si erano messi in testa dibattiti solo tra Enrico Letta e chi dice lui, dal cda dell'azienda pare sia arrivata finalmente una direttiva che mette le cose in chiaro. Il Pd non comanda più. Dietro le quinte si è appreso dell'altolà dei consiglieri all'ad Carlo Fuortes: i confronti ci devono essere, devono essere di due livelli, uno fra i leader dei partiti con gruppi parlamentari; il secondo tra le liste che non ne hanno. Nelle redazioni il gelo. E adesso come facciamo a spiegarlo al segretario del Pd che il dibattito non sarà solo con Giorgia Meloni, ma anche con Salvini, Berlusconi, Conte, Calenda ecc? La "soluzione" - dicono alcuni - sarebbe non farli, ma è chiaro che si tratterebbe di una scappatoia, una fuga. Non sarà una facoltà, per i direttori. Ma l'indicazione è precisa: voi invitate i leader, chi non vuole partecipare si beccherà la sedia vuota con il suo nome. Se i direttori non vorranno organizzare confronti, dovranno spiegare all'azienda perché fanno proprio i direttori con tanto di stipendio.

 

 

 

Se in campagna elettorale non fai discutere i protagonisti, qual è il mestiere a cui è chiamato chi dirige un telegiornale, una rete, un genere? Nel mirino ci saranno i direttori dei Tg in prima battuta, perché anche le trasmissioni di rete - o di genere - durante il periodo di par condicio cadono sotto la loro responsabilità. Però non è che tutti gli altri "compagni" che stanno ancora sul trono possono pensare di cavarsela senza pensare al pluralismo. Il problema riguarderà tutti quelli che in Rai godono di posizioni di potere con tanto di bilancino sulle presenze della politica nella tv pubblica. E a questo proposito si registrano le indicazioni - i richiami - dell'Agcom che vede sottostimate varie forze politiche, a partire da Lega e M5s. L'Agcom vuole un risarcimento dello spazio finora negato a questi partiti e se non si provvede le sanzioni sono ingenti. Nelle ultime due settimane dovranno rimediare ai danni precedenti. Siccome a prevalere dovrebbe essere il lavoro di squadra, è inevitabile osservare con attenzione i "movimenti" tra viale Mazzini e Saxa Rubra.

 

 

 

Saranno tutti eccellenti professionisti con il marchio del gradimento del Pd, ma è difficile immaginare equilibrio da chi comanda ora. In giro si sente solo il «dobbiamo resistere» che francamente appare un po' ridicolo, oltre che datato. Dal direttore del Prime time Coletta, a quella del daytime Sala; dal numero uno degli approfondimenti Di Bella alla Maggioni al Tg1; dal direttore della Radio Vianello a Montanari di Radio Tre; fino al direttore del Tg3 Mario Orfeo, sanno tutti di dovere un tributo in più alla par condicio. E non è casuale che l'unico tra i direttori dei tiggìa tenere conto del pluralismo sia Gennaro Sangiuliano al Tg2, che certo non ha in tasca l'appartenenza al Pd. Ma in gioco è il voto del 25 settembre. Con loro, sono sotto osservazione anche altre strutture: Rai Cinema con Del Brocco; Rai Fiction con Ammirati; Rai Cultura con Calandrelli; Rai Digital con Capparelli; Rai produzione tv con Sciommeri. Tutti bravi, sicuramente. Ma a destra proprio non si devono nemmeno cercare? In fondo, pluralismo è anche questo. A volte, basterebbe non esagerare. Ma, si sa, il Pd è sempre stato ingordo, soprattutto alla Rai. Solo che ora il prossimo voto del 25 settembre dovrebbe imporre prudenza. Sono pronti i cartellini rossi: per l'espulsione, non per gli ingaggi, ovviamente. 

 

 

 

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