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Milan, ha ragione Silvio Berlusconi? Solo tre squadre in Serie A usano il modulo di Gennaro Gattuso

Davide Locano
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Silvio Berlusconi è tornato nel calcio e non ha perso tempo: alla prima occasione, ovvero la gara d'esordio del suo Monza contro la Triestina, ha prontamente rispolverato la sua vecchia lamentela preferita. «Guarderò il derby con il solito disappunto per lo stile di gioco – ha spiegato -. Il Milan di Gattuso non mi piace perché gioca con una punta, quando invece dovrebbe giocare sempre con due». Fin qui, solito ritornello. Ma poi ha aggiunto: «Non capisco perché questa cosa, ovvia per me, non lo sia per il tecnico rossonero». Ecco il punto della questione, finalmente: per Gattuso è ovvio il contrario, cioè che il Milan non possa schierarsi con due punte. Perché Rino allena il Milan oggi, mentre Silvio ha come riferimento temporale un passato, appunto, “passato”. È in qualche modo condizionato dalla nostalgia: avendo vinto tutto da presidente con due punte, dal 4-4-2 di Sacchi e Capello al 4-3-1-2 di Ancelotti, crede che quella sia la ricetta vincente valida per l'eternità. Così ripete da anni le stesse dichiarazioni. L'unica differenza è che ora le pronuncia da tifoso rossonero, senza compromettere il rapporto con l'allenatore, cosa che invece accadeva quando era presidente. Leggi anche: Berlusconi, la frase con cui umilia Gattuso BASSA CLASSIFICA Non è cambiato Silvio ma è cambiato il calcio. Nel nuovo contesto il doppio centravanti è circoscritto a casi eccezionali, soprattutto ad alto livello (l'Atletico Madrid è l'unica basata da anni sul 4-4-2), perché è ormai insostenbile tatticamente. Fosse politica, Gattuso con il suo 4-3-3, dove ogni giocatore è al suo posto, rappresenterebbe la maggioranza, Berlusconi la minoranza. In A le squadre che si schierano con due punte sono infatti 9 su 20. Ma è rilevante notare che 7 di queste nove - Bologna, Cagliari, Chievo, Empoli, Frosinone, Spal, Torino - occupino la seconda metà della classifica, dal 12esimo al 20esimo posto. Vuol dire che i moduli con il “doppio nove” non sono più garanzia di alti livelli. Le altre due della lista sono le eccezioni che confermano la regola: il Napoli rimodellato da Ancelotti su un 4-4-2 è secondo; la Samp di Giampaolo, con il 4-3-1-2, è quinta. Inoltre, solo le squadre che utilizzano il 3-5-2 riescono a sopportare due prime punte: la Spal con Petagna-Antenucci, il Bologna con Falcinelli-Santander ed ora il Torino, seppur a tentativi, con Belotti-Zaza. Le altre propongono coppie complementari: il Frosinone con Campbell vicino a Ciofani; il Napoli con un fantasista come Insigne attorno a Milik o ad un ibrido come Mertens; il Cagliari con un brevilineo come Sau o Farias a supporto di Pavoletti; la Samp con una seconda punta di movimento come Defrel al fianco di Quagliarella, a sua volta nove atipico. I “FIGLI” DI SARRI Dunque quasi nessuno può più permettersi il doppio centravanti auspicato da Berlusconi. Oggi la maggior parte dei tecnici sottrae un uomo all'attacco e lo aggiunge al centrocampo per avere maggior controllo degli spazi e del pallone, di conseguenza tutti si adeguano alla tendenza, replicandola per evitare di finire in inferiorità numerica nel cuore del gioco. E sempre per una questione di equilibrio, è emblematico il calo del modulo prediletto di Silvio, il 4-3-1-2, con un trequartista dietro due punte. Era di moda una decina di anni fa perché era adatto ad un calcio meno dinamico, essendo una struttura che non garantisce la copertura del campo in ampiezza, oggi costituisce un rischio. Va utilizzato solo nel caso in cui i meccanismi siano perfetti così come la condizione dei giocatori. È molto difficile da allenare, infatti lo utilizzano solo tre squadre su 20 in A: il Cagliari di Maran, la Samp di Giampaolo e l'Empoli di Andreazzoli, ma queste ultime due sono “figlie” del lavoro di Sarri, che inventandosi nel suo Empoli meccanismi di gioco quasi scientifici insegnò ai suoi eredi a limitare i difetti del sistema. Non avesse avuto fortuna Sarri, forse solo una squadra oggi giocherebbe con il 4-3-1-2. Dunque se ne faccia una ragione, Berlusconi: ciò che è ovvio per lui, non lo è per il calcio contemporaneo in cui Gattuso si ritrova ad allenare, per altro con discreti risultati. di Claudio Savelli

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