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Calcio femminile, viaggio nello spogliatoio del Valpolicella: la lezione ai calciatori maschi

Gino Coala
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Quando la porta si spalanca hanno i visi lunghi. La partita non è andata bene e l' umore nello spogliatoio ne risente. Hanno preso cinque goal, ne hanno segnati due nel secondo tempo uno di fila all' altro. Hanno cercato di riprendersi coi denti la partita correndo come delle matte dietro quel pallone che quel sabato pomeriggio non gli dava retta. Ma quando entrano in spogliatoio significa che l' arbitro ha già fischiato da alcuni minuti la fine dell' incontro e non c' è più nulla da fare. Glielo leggi in faccia lo sconforto, nei gesti rassegnati e furiosi delle braccia muscolose e femminili al tempo stesso. Si sfilano veloci i calzini lunghi fin sotto al ginocchio. Sono gialli come le magliette che si strappano quasi di dosso lasciando scoperti i seni. Le ragazze della Fimauto Valpolicella, la squadra di calcio femminile della Serie A affiliata al Chievo, sono tipe combattive. Giocare è la loro passione. Non sono strapagate come i colleghi maschi. Non sono volti noti. Nessuno le ferma per una foto in mezzo a una strada affollata. Ma quello spogliatoio è carico del loro sudore. Uno stanzino grande pochi metri dove ognuna ha il suo posto, dove calzoni e pantaloncini si alternano a gonne, tacchi e ballerine. Escono ed entrano dalle docce. Camminano nude, disinvolte, in quello spazio che ospita le loro fatiche quasi ogni giorno. Ordinate si tolgono le divise. Le piegano, le rammendano prima di gettarle nel borsone. Parlottano tra di loro mentre si cambiano. Alcune sottovoce bisbigliano pettegolezzi. Altre si lamentano per quella palla mancata, per quel tiro troppo lungo, per la sorte che è stata troppo funesta con loro. Poi entra Lisa, un fiume in piena. Una ventenne, alta, magra, gambe lunghe. Ha iniziato a giocare quando aveva sei anni, e si allenava insieme con i maschi. «Non esistevano squadre femminili», spiega. Finché la forza fisica non l' ha fregata ha continuato a fiancheggiare i ragazzi dando loro pure del filo da torcere. IL TRUCCO Lei la butta sul ridere. Si avvicina a ognuna alle sue compagne e ha una battuta per ciascuna. Scioglie quel clima teso con un sorriso disteso. Si slega i capelli raccolti in una coda di cavallo alta e osserva le sue doppie punte. «Come ti pettini stasera?», chiede alla sua vicina di panca. «Se faccio in tempo stiro i capelli con la piastra», le risponde l' altra. Alle sette hanno la cena di squadra, devono metter via quegli abiti sportivi per aggiustarsi capelli, vestiti e trucco. Marta inizia a truccarsi in spogliatoio. «Mi aspetta il mio ragazzo. Mi devo sbrigare», dice alla sua amica di fianco mentre si spalma in faccia la cipria un po' come capita. «Sì sì, abbiamo capito che cos' hai da fare», ripetono in coro le due ragazze di fronte, prendendo in giro l' amica. Marta risponde con una linguaccia e scappa dal suo innamorato. Invece Stefania, una tipa dalla capigliatura particolare, si prepara con calma. In campo è un vulcano, sfreccia in mezzo alle avversarie rubando la palla dai piedi. È forte. Ha braccia robuste, gambe di marmo da fare invidia a molti uomini, due spalle quadrate. Per non parlare di quella capigliatura tutta sua che si nota fin sugli spalti mentre gioca. La riconosci prima dai capelli che dal numero stampato sulla maglietta: una chioma biondo platino, corta, sbarazzina, con un ciuffo lungo che le sovrasta il capo. Si abbottona una camicetta trasparente, nera con alcune decorazione bianche. Le sportive aggressive del campo verde, con le code attaccate in testa per evitare lo scivolare continuo dei fastidiosi ciuffi lunghi negli occhi mentre tirano calci al pallone, si trasformano in quello spogliatoio. I loro polpacci sodi utili ad acciuffare la palla, a tenere il passo alle avversarie, a correre a bordo campo come furie scatenate, diventano eleganti sopra i tacchi. Le spalle e le braccia toniche invece indossano vesti e spalline impreziosite dai ricami. Si guardano allo specchio i brufoli spuntati sulla fronte. Si consigliano creme per il corpo, per quella pelle che dopo tanto sudore diventa secca. Stanno attente a quel che mangiano per avere prestazioni migliori durante partite e allenamenti, ma anche perché son donne. Si curano le sopracciglia, le mani e le unghie limate alla perfezione. SENZA GENERE «Lo sport non ha genere», ribadisce mille volte Silvia. È la più grande della squadra di venticinquenni. Ha iniziato tardi a giocare. A quindici anni è scesa in campo seriamente. I suoi genitori non le avevano mai permesso prima di farlo. «Erano allarmati per i pregiudizi che girano attorno alle ragazze che praticano sport maschili. Dicono che siamo dei maschiacci. Ma non è così. Uscite da qui, siamo femminili come tutte le donne del mondo. Ora per fortuna le cose stanno cambiando. Molte più ragazze inseguono le loro passioni anche nello sport», racconta. Fuori dalla porta dello spogliatoio c' è Flora Bonafini, presidente della Fimauto. In jeans, cappotto abbottonato fin alla gola per il freddo, è una bella donna di trentasette anni. Sicura di sé, coi modi garbati. «Le ragazze ce la mettono tutta. Sono disposte a qualsiasi sacrificio per giocare, per migliorarsi. Questo le differenzia dai maschi: molte non sono nemmeno pagate, se non con un rimborso spese, ma rinunciano a qualsiasi cosa pur di farcela». di Miriam Romano

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