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Marco Nappi, parla l'allenatore in Cina: "Il calcio è pieno di infettati da coronavirus"

Alessandro Dell'Orto
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«Ogni mattina devo compilare un report online da inviare in Cina. Scrivo dove mi trovo e come sto, la temperatura corporea e i miei dati. È un programma di prevenzione e controllo obbligatorio per chi è sotto contratto con un club cinese, come me, ma in questo momento è all' estero. Una sorta di timbro quotidiano del cartellino e monitoraggio in vista del ritorno in Oriente: il mio sarà a fine aprile e so che già che mi toccheranno 14 giorni di quarantena».


Marco Nappi, 53 anni, ex attaccante trottola di Fiorentina, Atalanta e Genoa (e altri 10 club tra serie A, B e C) e famosa "foca monaca" della Gialappa' s che correva con il pallone incollato sulla testa: lei da due anni fa l' allenatore in Cina nel BSU Beijing, a 1000 km da Wuhan. Quando è rientrato in Italia?.
«Il 18 gennaio, pochi giorni prima che là mettessero tutti in quarantena. Ora sarei dovuto già tornare, ma sono bloccato a Roma e ho rinviato la partenza»

I suoi giocatori li sente? Come è la situazione?
«Ci scriviamo spesso. Mi raccomandano di stare attento, mi incitano a non mollare.

 

 


Da loro le cose vanno meglio. Adesso possono uscire - sempre con le mascherine, eh - e i trasporti hanno ripreso a funzionare. L'unica paura è per i cinesi che rientrano in patria: temono che possano riportare i virus e li tengono in quarantena».

Già, e in Cina non si sgarra.

«Ne sono usciti proprio perché sono stati severi. Tutti in casa per cinquanta giorni, con le guardie che passavano in ogni abitazione a misurare la febbre. Loro vivono in agglomerati di grattacieli con quartieri di un km quadrato separati da recinzioni. I trasgressori rischiano il carcere, non come da noi».

Ancora troppa superficialità in Italia?
«C' è in giro tanta gente senza motivo. Bisogna dare segnali forti. Ha visto il video di quello che sputa sulla frutta e dice "Vi infetto tutti"? Beh, andrei a prenderlo, gli metterei le manette e gli darei 20 anni di carcere. Come esempio per far capire che non si scherza. E di chi va a correre ne vogliamo parlare?».


Dica.
«Io, che nella vita ho sempre e solo corso, sento la mancanza di una bella sudata, ma mi adatto in casa con una cyclette. Ci sono persone che invece escono per fare jogging quando non hanno mai fatto un cazzo. Cosa vogliono dimostrare?».


Il calcio però si è fermato.
«In ritardo. Chissà quanti tifosi provenienti dal nord Italia sono andati a vedere Napoli-Barcellona. E i 45mila di Atalanta-Valencia a San Siro per la Champions? Andava bloccato tutto prima».

Nel senso di giocare a porte chiuse?
«Nooo, nel senso di non giocare proprio. Scusate, ma i calciatori non contano nulla? Non sono dei supereroi e infatti ci sono parecchi casi di positività. Io ho vissuto quelle situazioni: la doccia insieme, i festeggiamenti, i contrasti in campo. Sono convinto che gli infettati siano molti più di quello che sappiamo ufficialmente. E poi pensiamo agli strascichi di una polmonite pesante su un atleta: potrebbero condizionare la carriera».


Avanti così, sarà difficile concludere il campionato.
«Chissenefrega. Questa stagione deve finire ora. Lo scudetto non si assegna e negli almanacchi si scriverà: "serie A del 2019-2020 sospesa per pandemia". Così ci ricorderemo bene di cosa sta succedendo».


Bergamo e Brescia sono le provincie più colpite: lei ha giocato in entrambe le città.
«Posti meravigliosi e gente di carattere. Grandi lavoratori e anche adesso stanno dimostrando a tutti come si deve reagire. Ah, posso dire un' ultima cosa?».


Prego.
«Altro che noi calciatori: i veri eroi dell' Italia sono i medici, gli infermieri e tutti quelli che aiutano i malati. Spero che ora lo capiscano tutti».

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