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Francesco Moser a Libero: il vero ciclista si vede dalla Roubaix

Francesco Moser

Tommaso Lorenzini
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Mai come in questo caso suona azzeccato il detto "metterci una pietra sopra". È quello che si deve fare con la Parigi-Roubaix, oggi era programmata la 118esima edizione, culmine della settimana santa delle Classiche del Nord, fagocitate anch' esse dal Coronavirus. «Un maledetto casino», come lo inquadra da "Sceriffo" Francesco Moser, impegnato nella sua azienda di famiglia a Palù di Giovo, in Trentino.

Moser, come sta?
«Bene, siamo a lavorare, come sempre, qualche giorno fa ho dovuto cambiare un tubo di irrigazione in vigna. C' è da fare, la natura non aspetta».

Viene anche suo figlio Ignazio ad aiutarla?
«Certo, ci mancherebbe, è qui con la fidanzata Cecilia».

Secondo i giornali di gossip pare che vogliano darle presto un nipotino.
«Ah ah (ride, ndr), per ora non mi pare ma non si può mai sapere. Comunque non mi aspetto che diventi un ciclista. Vedremo in futuro».
 

Stiamo al presente, allora: a causa dell' epidemia pure i ciclisti sono costretti in casa.
«Capisco che per chi è in attività è dura. Devono fare i rulli e tutto quel che si può per stare in forma. Non so se basterà».

 


 

Stanno andando di moda pure le corse virtuali con i professionisti.
«Non chiamiamolo ciclismo, però, quello è fatto di luoghi, sensazioni, persone. Le gare virtuali le possono far tutti... mi sembrano un po' delle cazzate».

La pandemia metterà in crisi il ciclismo?
«Soffrirà come tutti i settori ma ce la farà a ripartire».

C' è un corridore azzurro che la stuzzica?
«C' è un Filippo Ganna che sta andando fortissimo in pista, peccato che debba rimandare l' appuntamento olimpico».

Fa bene a pensare anche al record dell' ora?
«Fa benissimo, ma gli servirà una programmazione ad hoc: un conto è fare 5 km, un altro 50, anzi, almeno 55.089... ormai il mio 51.151 è passato da un po'».

Ecco, il passato. Domani lei festeggia il 40esimo delle tre vittorie consecutive alla Parigi-Roubaix. La più bella quale è stata?
«La prima nel 1978 ha un sapore speciale, avevo già fatto due volte secondo. Quell' anno avevo in squadra un corridore che, non per nulla, è soprannominato Monsieur Roubaix per averla vinta 4 volte, Roger De Vlaeminck».

Come si batteva?
«Andando più di lui. Quell' anno lo ho anticipato e non ce l' ha più fatta a riprendermi».

E le altre due?
«Nel '79 ho battuto ancora Roger, penso che non sono mai andato così forte al Nord. Nell' 80 vinsi per distacco su Duclos-Lassalle.
Eravamo partiti in 164, arrivammo in 31».
 

Una gara infernale.
«Soprattutto nella Foresta di Arenberg. Sarà anche in pianura, ma puoi perdere secoli come sulla salita di un tappone dolomitico».

C' è un segreto per vincerla?
«Bisogna avere la gamba per rilanciare sempre perché se ti fai impressionare dalle pietre resti lì fermo, il pavé ti inghiotte. Lasciamo poi perdere quando è bagnato, più o meno si cade tutti una volta o due. La Roubaix è una macchina del tempo, forse la sola gara tramite cui si possono fare paragoni fra ciclisti di varie epoche. È rimasta sempre individuale, conta molto meno stare a ruota che nelle altre corse. Testa e gambe non devono scollegarsi mai, non devi aver timore dei sassi, neanche a 60 all' ora».

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