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Vittorio Feltri e Roberto Baggio: "Lo strano caso di un genio campione di tutti gli italiani"

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La sciatteria del calcio purtroppo è emersa in queste prime settimane di campionato. Che tristezza vedere ragazzi grandi, grossi e ciula gettarsi tra le braccia del Covid, per non rinunciare, almeno per qualche tempo, alle solite feste, molto divertenti per carità, peccato che poi il bollettino medico vada in tilt con decine di contagiati. Niente, non riescono a uscire dallo stereotipo dello sportivo viziato a cui tutto è concesso, perfino mettere a repentaglio la cosa che dovrebbero preservare con cura più di ogni altra: la salute propria e dei compagni di squadra. Che poi: sei in isolamento, non puoi ricevere in casa quaranta persone provenienti da ogni dove, non puoi andare al ristorante e fare casino con i tifosi, non puoi organizzare ricevimenti con tante allegre ragazze negli hotel di lusso. Mi pare chiaro. Facciamo che trasgredisci e nessuno ti becca. Vabbè sei scorretto ma non un pirla completo. Se invece trasgredisci e, mentre trasgredisci, tu stesso metti le foto sui social, sei scorretto ma soprattutto meriti la convocazione nella nazionale dei pirla e forse puoi guidarla alla vittoria dei mondiali. Peccato. Per fortuna lo sport è molto altro. Sono sempre stato un giornalista tifoso. Soprattutto di calcio ma anche di scherma e ippica. Le storie dei campioni mi hanno sempre affascinato e in questo periodo di depressione generale, in cui l'umanità intera, ma in particolare l'umanità delle zone da cui provengo, è umiliata da un parassita invisibile, mi sembrano davvero istruttive: vincere si può, sempre. La vittoria può essere agevolata da San Culo, senza il quale non si va da nessuna parte, ma più spesso è sufficiente che il suddetto santo non si metta di traverso: poi tocca all'uomo farsi sotto con impegno costante. Non conosco altra formula per raggiungere grandi risultati: incrociare le dita e non risparmiare energie. Può essere che vada male ma l'uomo che esce sconfitto dopo averle provate tutte non è un vero perdente, merita grande rispetto, come sapevano benissimo tutte le società tradizionali e come la nostra volgarissima epoca ha invece dimenticato. Non è solo questo. L'olio di gomito è sempre necessario. Ma se lo sport fosse solo olio di gomito non interesserebbe a nessuno. No, quello che ci colpisce è l'impossibile che diventa possibile, la magia che stravolge le leggi della natura, Michael Jordan che si arrampica in cielo, Cristiano Ronaldo che rimane sospeso nel vuoto, sfidando la legge di gravità, Messi che pare attraversare i corpi altrui con un semplice (si fa per dire) tocchetto con la punta del piede. Questo è l'aspetto sovrumano.

Filosofi e miti - Poi c'è quello umano, troppo umano: il ciclista che crolla sul Mont Ventoux o ha il volto colorato di nero dopo una fuga nella Parigi-Roubaix. Nello sport c'è dentro la durezza e la bellezza, lo scontro e l'abbraccio, la vita e la morte, simboleggiati dalla vittoria e dalla sconfitta. Nello sport come nella vita non ci sono piccole o grandi parti, ma piccoli e grandi attori. Bando alla filosofia. Passiamo ai grandi attori. Uno per tutti. Prendiamo Roberto Baggio: perché non conosco nessuno che non lo ami? Sappiamo che le tifoserie sono estremamente campaniliste e non tollerano tradimenti. Specie da parte di giocatori che idolatrano e considerano più necessari della propria moglie. Invece a Baggio tutti vogliono bene. Certo, Roby era un magnifico campione e appena infilava la maglia della nazionale, palesemente la più importante per lui, scordava le amarezze che pure la carriera gli aveva riservato. Baggio in azzurro era una icona nella quale tutti si riconoscevano. C'era qualcosa che andava al di là dell'ammirazione per le sue prodezze decisive almeno tra il 1990 e il 1994. È vero che sbagliò il rigore in finale con il Brasile, nel 1994. Ma è anche vero che l'Italia, senza Baggio, la finale l'avrebbe vista col binocolo. Negli Stati Uniti, con quaranta gradi all'ombra, danzava sulla palla fino all'ultimo minuto. Qualcuno ricorda la partita con la Nigeria, risolta in un finale disperato da un suo tiro di precisione millimetrica? Baggio ha avvicinato il puro talento alla nostra altezza di umani mediocri: era un genio, beato lui, ma sempre in bilico tra la vittoria e la sconfitta, come noi. Vogliamo contare gli infortuni al ginocchio da cui si è rialzato più forte di prima? Sottolineare come molti allenatori italiani, neanche fossero stati gelosi, l'abbiano relegato al ruolo di comprimario, lui che si beveva tutti quanti, perché non erano graditi i suoi numeri? Vogliamo ricordare come Roberto abbia con intelligenza cercato e ottenuto il rilancio in squadre di provincia, Bologna e Brescia, lui che sarebbe stato titolare nel Real Madrid o nel Barcellona? Dalle stelle alle stalle, come si suole dire, andata e ritorno, e più volte. Alto e basso, trionfo e delusione. Nessuna lamentela. Molta modestia. Una volta ho visto uno striscione, credo a Bergamo. C'era scritto: "Baggio sei tutti noi". E infatti è stato tutti noi, che pure tifavamo per altre squadre. Grazie Roberto.

Articolo pubblicato per concessione di Arbiter 

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