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Olimpiadi di Tokyo a rischio? Guai a rinunciarci: ecco tutti i motivi per cui è sbagliato arrendersi

Tommaso Lorenzini
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Mai dire Tokyo. Bisognerà abituarsi al tormentone a cinque cerchi, perché le Olimpiadi 2020 divenute nella sostanza 2021 (in programma dal 23 luglio all'8 agosto: mancano 98 giorni all'inaugurazione) si faranno ma resta quello strisciante puntino di domanda che non lascia tranquillo nessuno: atleti in primis, terrorizzati dall'idea di buttare via cinque anni di preparazione, o magari di chiudere prima la carriera, come fatto dalla 37enne Elisa Di Francisca, che lo scorso novembre ha annunciato di essere incinta e perciò ha appeso il fioretto al chiodo. Esempio: Federica Pellegrini, 33 anni il prossimo 5 agosto, ha già dichiarato che se dovessero andare al 2022 non ci sarà. Poi, in ordine sparso, vengono il Giappone, gli sponsor che cacciano tanti soldi, il Cio che ne potrebbe perdere altrettanti.

Secondo il Comitato Organizzatore, lo spostamento di un anno è già costato circa 2,3 miliardi di euro, a questo si aggiungono stime varie fatte nei mesi scorsi: per l'Università di Osaka la cancellazione comporterebbe una perdita di oltre 38 miliardi di euro; secondo la finanziaria giapponese Nikko Securities sarebbero ben 65,9. Cifre distanti ma comunque di portata gigantesca che dipingono bene lo scenario. Come riportava Il Sole24 Ore, i diritti tv per le Olimpiadi giapponesi, pari a 4,5 miliardi di dollari, rappresentano il 73% delle entrate del Cio e sono indispensabili per finanziare gli sport con minor seguito. Mentre è ormai deciso che il pubblico di Paesi stranieri non potrà assistere alle gare, dunque sono andati in fumo i circa 900mila biglietti già acquistati on line (per un importo di 54 milioni di euro).

 

 

 

In tutto questo si colloca la netta spaccatura nello stesso Giappone. Un sondaggio dell'agenzia di informazione Kyodo News ha rivelato che solo il 24,5% degli intervistati è favorevole alle Olimpiadi: il 32,8% propone un ulteriore slittamento, il 39,2% vorrebbe cancellarle punto e basta. E proprio ieri, nonostante il premier Suga ripeta che «i Giochi si faranno» e il Segretario generale del Cio, Thomas Bach, spieghi che «non c'è un piano B riguardo a Tokyo», il segretario generale del partito liberal democratico (Ldp), Toshihiro Nikai, numero due del governo, ha gelato tutti: «Non ha senso ospitare i Giochi se c'è il rischio che provochino un'ulteriore diffusione delle infezioni». Questo per via del riaggravarsi della situazione Covid: nel Paese i casi sono stati oltre 4mila solo mercoledì, a Osaka si è addirittura riscontrato il valore più elevato da inizio febbraio con 1200 casi nelle ultime 24 ore: a ieri, solo l'1% dei circa 126 milioni di giapponesi è stato vaccinato. Ecco, la partita dei vaccini in questo è esiziale e tema caldissimo anche per gli azzurri.

Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, spiega: «Abbiamo mandato al Governo un elenco analitico di tutti gli atleti interessati e delle persone che faranno parte della spedizione, la sottosegretaria Vezzali ci ha detto che oggi (ieri, ndr) dovrebbe arrivare anche la parte relativa al Comitato italiano paralimpico. È stato già mandato un tabulato al generale Figliuolo e riteniamo che il più presto possibile, si possa iniziare: già domani o dopodomani. Noi siamo pronti, siamo in chiamata». Le domande fondamentali sui vaccini (che ci auguriamo disponibili, fatto da non dare per scontato) sono: 1) quando e quali vanno fatti? Pfizer e Moderna, al momento i più indicati per i giovani atleti, richiedono due somministrazioni a distanza rispettivamente di tre e quattro settimane, quindi è necessario che entro metà giugno la campagna venga effettuata; 2) quanti vaccini sono necessari? Ad oggi non c'è un numero preciso per vari motivi, anche se fra Olimpiadi e Paralimpiadi (24 agosto-5 settembre: una manifestazione importantissima e da non dimenticare perché in tutto e per tutto, se non di più, bisognosa della stessa organizzazione di quella dei normodotati) una stima indica che le due spedizioni avranno un totale intorno alle mille persone. Una delle cause per cui non c'è ancora un numero stabilito dipende dal fatto che per molte discipline le prove qualificatorie devono ancora essere svolte (fine maggio, inizio giugno).

 

 

 

 

 

 

Inoltre, siccome gran parte degli atleti fanno parte dei corpi militari, per loro la vaccinazione c'è già stata. Dei 218 normodotati qualificati finora (a Rio 2016 furono 314), in 120 hanno già ricevuto almeno la prima dose. In più, sotto ogni atleta c'è un "iceberg" di collaboratori, dal coach al fisioterapista personale, figure indispensabili e di diverso numero in base al soggetto. Anche questo sarà un tema che Coni e Governo dovranno affrontare. Intanto, l'idea di una "bolla" per i circa 12mila atleti e relative delegazioni sembra stata scartata. Le indicazioni che filtrano, di concerto fra Cio e Giappone, sono quelle di far arrivare gli atleti e tenerli sul suolo nipponico il tempo indispensabile per farli ambientare e gareggiare. Poi tanti saluti: per fare i turisti, ripassare prego. 

 

 

 

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