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Federico Bernardeschi, l'emblema del calcio moderno a 28 anni è una vecchia gloria

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Cinque anni fa alla porta della Fiorentina c'era la fila. Tutti bussavano per chiedere informazioni su Federico Bernardeschi, simbolo del presunto rinascimento italiano e prototipo del calcio del futuro. La risposta era una domanda: li avete 40 milioni? Nel 2017 in Italia li aveva solo la Juventus in piena ascesa guidata da Max Allegri e infatti è lì che il talento carrarese andò. Aveva 23 anni e cinque mesi, l'età perfetta per il grande salto, anzi addirittura tardiva rispetto alla media europea. La richiesta economica della Fiorentina era peraltro edulcorata dall'unico anno di contratto rimasto a Bernardeschi e dall'intenzione di non rinnovarlo. Ai tempi, viste le cifre che giravano, sembrò un affare.

 

Fu la ciliegina sulla campagna acquisti estiva di quella Juventus, che nell'anno precedente aveva ingaggiato Higuain dal Napoli per 90 milioni e in quello successivo acquisterà Cristiano Ronaldo dal Real Madrid per 117 milioni. A conferma dell'assoluta convinzione, la dirigenza gli sottopose un quinquennale da 4 milioni netti a stagione: contratto che non è mai stato rinnovato e che il club ha lasciato scadere. Pur di liberarsi di quell'ingaggio pesante non corrisposto dalle prestazioni, meglio perdere il potenziale incasso dalla vendita del giocatore. "Berna" lascia infatti i bianconeri con 183 presenze e un magro bottino da 12 gol e 24 assist, praticamente la metà della produzione (23 reti) nei due anni e mezzo con la Fiorentina, di cui uno peraltro passato in fascia (con Paulo Sousa). Sono numeri che dipingono la difficoltà di rendimento in una grande rispetto ad una squadra con obiettivi minori.

PRIGIONE DORATA
Quel contratto è diventato una prigione dorata per Bernardeschi, che infatti non ha trovato offerte in linea sul mercato europeo. L'unica a farsi avanti è stata il Napoli che però non sarebbe andata oltre la metà e di certo non con un quadriennale (come richiesto), visti gli ormai 28 anni dell'ex prodigio. Chissà se per orgoglio o per soldi, Federico ha quindi aperto al Toronto che, una volta incassato il rifiuto di Belotti, ha voluto dotarsi ugualmente di un trio italiano nei cosiddetti Designated Player, giocatori in deroga al tetto salariale.

L'offerta pare in linea con lo stipendio percepito alla Juve e, per Bernardeschi, simboleggerebbe una rivincita sul calcio europeo che invece non lo ha ritenuto degno di quelle cifre. In realtà i club non possono più permettersi gli ingaggi di un tempo e deludono i giocatori, specialmente quelli svincolati, che reagiscono in modi diversi.

Bernardeschi è sempre stato infastidito dalla considerazione che l'ambiente juventino e in generale quello italiano ha avuto nei suoi confronti. Altrimenti non avrebbe dichiarato con fare scocciato di «essere libero di provare le giocate solo in Nazionale». In azzurro, dove ha esordito con Conte nel 2016, ha raccolto due mondiali mancati, rappresentando in pieno quella generazione di giocatori italiani caduta nel vuoto, e la gioia dell'Europeo con Mancini, dove però è stato un gregario.

 

 

NON SI È MAI IMPOSTO
Questa è stata la sua condanna anche nella Juve: non è mai riuscito a imporsi, sia perché interdetto tra i ruoli (esterno, ala, trequartista, mezzala, perfino terzino con Pirlo, li ha provati quasi tutti), sia perché schiacciato dalle aspettative sul suo conto. Il fatto che tecnicamente e tatticamente non sia migliorato nei cinque anni di Juve dimostra una difficoltà nel reagire. In più, il fisico sempre più possente ha inibito la rapidità nel breve che lo contraddistingueva in epoca viola. Così Bernardeschi accetta un calcio che lo riconosce per quello che in Italia prometteva di essere: un campione. Chissà che non serva per diventarlo davvero.

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