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Napoli, il segreto del 17: cosa c'è dietro alla cavalcata di Spalletti

Claudio Savelli
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Il Napoli è mondiale per come gioca e per chi ci gioca. Nella rosa della capolista ci sono ben 17 nazionalità diverse in rappresentanza di quattro continenti (Europa, Africa, America, Asia), quasi tutto il mondo. È un perfetto esempio di integrazione di culture, stili e qualità utile sia al mondo del calcio sia al mondo in generale. C’è Di Lorenzo, italiano, che sulla corsia di destra crea un triangolo di gioco con Anguissa, un camerunese, e Lozano, un messicano: tre continenti sulla stessa fascia. I centrali di difesa si intendono al volo nonostante siano un albanese naturalizzato kosovaro (Rrahmani) e un coreano (Kim) al primo anno in Italia: non è scontato né facile che due culture così diverse si incontrino e funzionino istantaneamente. Peraltro nella difesa a quattro, una coppia di mezzo deve dialogare tantissimo.

 

 

 


A sinistra si alternano il portoghese Mario Rui e l’uruguaiano Olivera: l’uno sa l’italiano alla perfezione, l’altro lo sta imparando così come Kvaratskhelia, georgiano. In mezzo c’è Zielinski, polacco ormai naturalizzato italiano visto che è arrivato all'Udinese nel 2011: questi aiuta i nuovi arrivati a interagire, sia in campo sia fuori. Il direttore d’orchestra è Lobotka, slovacco. Al centro di tutto e in linea diretta con Meret, portiere italiano, e Osimhen, attaccante nigeriano la cui riserva è Simeone, argentino.

 

 

 

PLURALITÀ

Anche in panchina si spazia dal Brasile di Juan Jesus alla Norvegia di Ostigard, unica nazione del nord-Europa nel Napoli, passando per la Macedonia di Elmas e finendo alla Francia e alla Germania di Ndombelé e Demme. Gli stranieri sono 19 su 27, il 70%, ma non è uno svantaggio. Anzi, la pluralità è la forza del Napoli che, così, non è inchiodato all’italianismo calcistico antiquato e superato. Il blocco di azzurri, al netto dei 29enni Di Lorenzo e Politano, è composto infatti da soli giovani da levigare ai massimi livelli come Raspadori, Zerbin, Gaetano (a cui si è aggiunto Gollini) nati e cresciuti in un’idea di gioco contemporanea. La stessa di Spalletti.


È notevole la capacità di assemblaggio del mister di Certaldo. In pochissimo tempo, trasforma pezzi singoli in un puzzle. La formazione è conseguenza degli incastri, non il punto finale da inseguire a tutti i costi: per questo il Napoli funziona. E così Spalletti lascia una certa libertà all’«ottimo scouting del Napoli», come definito dal presidente De Laurentiis. Il club ha investito sulla ricerca dei calciatori abbinando strumenti tecnologici e statistici all'intuito di professionisti guidati dal ds Giuntoli, un mago nello scovare profili poco conosciuti fin dai tempi del Carpi che portò a quattro promozioni in cinque stagioni, dalla Serie D alla A. Forse perché Giuntoli è stato un calciatore, sa ascoltare l’allenatore (Osimhen fu caldeggiato da Gattuso, Lozano fu fortemente voluto da Ancelotti) e guidare il team di scouting senza sbilanciarsi né verso l’uno né verso gli altri. Ecco allora l’ultima bandiera che sventola nel Napoli: quella della competenza.

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