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Milan, "ecco chi ha alzato i toni": tutta la verità sul terremoto-Maldini

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Trentacinque minuti per dirsi addio e ribaltare il Milan. La storia tra Gerry Cardinale e Paolo Maldini è finita malissimo, lunedì, in un hotel di corso Venezia a Milano. Il patron rossonero, Mister RedBird, ha licenziato su due piedi la bandiera e responsabile dell'area sportiva del club, insieme al suo braccio destro Ricky Massara, uomo-mercato.

 

 

 

Il rapporto tra il manager americano e l'ex difensore-leggenda è sempre stato assai complicato, iniziato con un certo gelo un anno fa, con la trattativa infinita per il rinnovo del contratto all'indomani dello scudetto vinto. Maldini non era convinto del passaggio di società, dal fondo Elliott agli altri americani, dubbioso sull'entità degli investimenti che avrebbero messo in campo. E alla fine lì si è tornati, sul budget, ma stavolta sarebbe stato proprio Cardinale a chiedere conto a Maldini delle scelte fatte la scorsa estate, rivelatesi oggi fallimentari. E di fronte alla richiesta di Paolo di avere ancora più poteri decisionali, Gerry ha semplicemente detto no: quella è la porta.

 

 

 

Secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato lo stesso Maldini però ad "alzare i toni" e decidere di porre fine all'incontro, caratterizzato da un clima gelido. "La ragione principale del contendere è stato il budget", assicurano fonti rossonere. D'altronde, appena poche settimane fa dopo la dolorosa eliminazione in Champions League nel derby di semifinale contro l'Inter, Maldini aveva ribadito la necessità di rinforzare la rosa con acquisti di peso, per potere sostenere due competizioni di vertice. Un anno fa erano arrivati De Keteleare (35 milioni dal Bruges) e Thiaw (5 milioni, dallo Schalke 04), lo svincolato Origi, i prestiti Vranckx e Dest, più il rientro di Pobega e l'arrivo di Adli già bloccato a gennaio ma lasciato al Bordeaux. A parte Thiaw, tutti con rendimento disastroso o semplicemente sottoutilizzati o addirittura ignorati da mister Pioli. 

 

 

 

Ecco il secondo, pesante punto di attrito tra Cardinale e Maldini. La proprietà, dopo aver "processato" il dirigente sul piano tecnico, ha contestato la richiesta di Maldini di avere più potere decisionale anche sul conto dell'allenatore. Il direttore tecnico, riferiscono vari retroscena, "ritiene suo diritto, da capo dell'area tecnica, giudicare l'allenatore dal contratto in scadenza nel 2025, con voci su Antonio Conte".

 

 

 

Sarebbe Maldini, dunque, ad aver tirato in ballo Conte come sostituto di Stefano Pioli e non Cardinale, come molti tifosi accusavano nella serata di lunedì, in pieno "rush" di delusione e rabbia nei confronti di RedBird. La verità forse è che il patron, in pieno stile americano, pretende più "collaborazione" dai suoi dirigenti e la personalità debordante di Maldini mal si sposava con questa filosofia. Da qui la decisione di sostituirlo, non curante del valore simbolico della sua storia e del suo cognome. Business is business, anche nel calcio.

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