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Matteo Berrettini, il momento drammatico: "Ti scavi un abisso, buio senza fine"

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Un campione ritrovato, Matteo Berrettini. Sembrava finito, si diceva che avrebbe addirittura potuto lasciare il tennis a soli 27 anni. E invece è tornato, giocando un grande Wimbledon, dove è uscito al termine di una grande partita contro Carlos Alcaraz, poi vincitore del torneo. E ora il tennista si confida in una lunga e sincera intervista al Corriere della Sera. Gli chiedono se ha capito cosa gli sia accaduto nei mesi bui, quelli delle brutte voci e dei molti infortuni. "Sto cercando di capirlo, è difficile fare un’analisi oggettiva di quello che succede nel corpo, fatto di muscoli e psiche, di ognuno di noi - premette il tennista romano -. Nell’ultimo anno ho vissuto troppi strappi mentali e fisici. Ci sono stati dei momenti in cui la mia testa e il mio corpo non erano allineati, chiedevo troppo all’uno o all’altro. Clinicamente è stato uno strappo dell’obliquo interno. Credo di aver chiesto troppo al mio corpo. La mia indole combattiva non mi fa accettare quei fisiologici momenti di down che esistono per tutti. Io se sono in difficoltà tendo ad accelerare e non sempre è giusto. Se le cose non vanno io metto giù la testa e spingo. Ma è un errore. Se la testa si illude di stare bene e il corpo sta male, si paga il prezzo che ho pagato", sottolinea Berrettini.

Poi le voci, le illazioni, le cattiverie sul fatto che la sua storia con Melissa Satta lo avrebbe distratto dall'agonismo. Gli chiedono se, effettivamente, lo strappo fisico lo ha fatto cadere nel buio psicologico. E Berrettini conferma: "Sì, molto legato al fatto di non poter competere. Perché in fondo, anche quando mi sento esausto, è questa una delle cose che mi rendono vivo. Non poterlo fare, in appuntamenti importanti, mi ha fatto conoscere il buio. E il buio sembra non avere fine, sembra ti inghiotta perché invece di stare fermo e rifiatare, ti scavi da solo un abisso. Sono stati momenti brutti, che non mi sono piaciuti. Ma sono stati fondamentali per farmi ritrovare le ragioni della gioia di fare quello che ho iniziato da bambino e che ha occupato tutta la mia vita. Ho ripensato alle origini per ritrovarmi. Il buio mi ha dato lo spazio per farlo", spiega le origini del riscatto

 

Interessante anche la risposta che offre quando gli chiedono se ha un amico nel circuito tennistico. "Sì, Lorenzo Sonego, è l’unico con cui abbia un rapporto che supera il campo. Siamo coetanei, abbiamo fatto lo stesso percorso e ci stimiamo. Quando mi ha battuto seccamente a Stoccarda, il giorno in cui tornavo a giocare, alla fine non ha esultato. Io ero completamente fuori di me e lui mi ha detto “Mi dispiace”. Significava “Mi dispiace vederti così”. Quando poi ho vinto io, a Wimbledon, lui a fine partita mi ha abbracciato, mi voleva dire che con me desiderava sempre giocare così, da pari a pari. Quel tipo di sensibilità non è diffusa. Nel tennis. Ma non solo", conclude Matteo Berrettini.

 

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