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Coppa Davis, perché l'Italia del tennis si è rovinata da sola

Claudio Savelli
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Quando una Nazionale italiana diventa forte, immancabilmente si sentono tutti ct. Ora è il momento dell’Italtennis. D’un tratto, interessa. Se vince, il carro è pieno. Se non vince, scendono tutti e si appostano in strada per lanciare pomodori al ct (che nel tennis si chiama “capitano”), ai giocatori e, cosa ben più creativa, agli azzurri che nemmeno ci sono. È il curioso caso di Sinner che sembra essere il colpevole della sconfitta all’esordio in Coppa Davis perché non è presente. Robe da pazzi, o da italiani, ma lo sappiamo. L’Italtennis è diventata popolare perché è ricca di talento, quindi di aspettative del Paese che gode delle vittorie quanto, paradossalmente, delle sconfitte, perché così può sfogarsi. Figuriamoci quando una Nazionale forte perde male come accaduto all’Italia di Volandri contro la versione peggiore del Canada, mica quella che lo scorso anno ha vinto la Coppa: 0-3 rotondo, secco, netto. Cappotto. Dire che i tre match sono stati tirati è inutile perché, secondo la classifica, almeno due non avrebbero dovuto esserlo: i due Lorenzo, Sonego e Musetti, hanno ceduto rispettivamente contro Galarneau (n. 200) e Diallo (n. 179), mentre il doppio improvvisato Bolelli-Arnaldi lottava con Pospisil-Galarneau fino al tie break del terzo.

PRESAGI
Il risultato è figlio di una preparazione non all’altezza della Nazionale che l’Italia è diventata, o che crede di essere. Ovvero una squadra di assoluto livello anche senza Sinner e Berrettini, i due migliori singolaristi. Una che pensa di poter vincere la Davis. I presagi erano chiari fin dalla convocazione poi revocata di Fognini, che si è sommata alla chiamata di un Vavassori infortunato e inutilizzabile e al conseguente riciclo di Arnaldi come doppista, affare tutt’altro che suo. Un Arnaldi che sarà anche il più indietro nel ranking ma era di certo il più avanti per condizione atletica e mentale, essendo reduce dal suo primo ottavo in uno Slam e sull’ingresso in top-50.

Capitan Volandri ha ragionato per classifica, come da tradizione, e non da allenatore contemporaneo di una squadra: in alcuni casi si deve tenere conto della condizione dell'atleta, altrimenti un ct a cosa serve? E questo, vista l’emergenza di uomini, era uno dei suddetti casi. Anche il post-match non ha aiutato: la toppa è stata peggiore del buco. Anziché assumersi responsabilità o spiegare la sconfitta o proteggere i giocatori, Volandri ha cercato di proteggere le sue scelte, e quindi il suo posto. È il contrario di quanto dovrebbe fare un ct, ma in questi casi emerge la tendenza all’egoismo dei tennisti (o ex tennisti) che non hanno praticato uno sport di squadra.

CAPITANO FORTE
Per un’Italia forte ci vorrebbe un capitano (ct) altrettanto forte, ma non se ne vedono all’orizzonte. Tutti criticano, la fila per rubare il posto a Volandri e allenare un gruppo di livello si allunga, ma nessuno promette cose diverse, nemmeno l’ex capitano Barazzutti che ha criticato il suo successore perché «non è umile e non sa gestire la squadra» ma non ha prestato spunti.

Così la preparazione della seconda partita dell'Italtennis in quel di Bologna è diventata simile a quella di molte altre nazionali azzurre che perdono una gara: turbolenta. Si vedrà la stoffa di questo gruppo, si capirà se è davvero unito come dicono dall’interno: oggi alle 15 (diretta Rai 2 e Sky) gli azzurri affrontano il Cile di Nicolas Jarry, numero 22 del mondo e nipote di quel Jaime Fillol avversario di Barazzutti nella storica finale di Santiago nel 1976, e l’ex top-20 Garin. Gente che sente l’odore del sangue che sgorga dalle ferite degli azzurri: batterci in casa, per i sudamericani, sarebbe un colpo grosso, anche perché con il 3-0 sulla Svezia nella prima giornata sarebbero qualificati, e noi quasi certamente eliminati. Di sicuro a quel punto comincerebbe il processo alla Nazionale e, soprattutto, a Volandri, ma che porti a qualcosa di concreto e di buono è tutto da verificare. 

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